Intervista esclusiva: ALFREDO CASTELLI

Intervista condotta da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli e Pedro Cleto per la formulazione delle domande, di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e di Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni e di Bira Dantas per la caricatura.

Ciao carissimo Alfredo Castelli, e benvenuto sul blog portoghese di Tex! Quest’anno Diabolik compie cinquant’anni di vita editoriale: hai avuto modo di entrare in contatto con la Astorina realizzando Scheletrino e poi collaborando direttamente con le sorelle Giussani. Come sei entrato in contatto con le Giussani e cosa ricordi di quel periodo della tua carriera?
Alfredo Castelli: Per prima cosa ricordo che ero molto giovane, cosa che rimpiango molto, ma c’è poco da scegliere. Era l’estate del 1964, e Diabolik non aveva ancora due anni di vita; io ne avevo appena compiuti 17. Come seconda cosa, ricordo che ero ancora così incosciente da proporre una serie disegnata da me, pur non sapendo disegnare. Andai dalle Giussani dopo essere stato al “Monello” e alle edizioni Alpe; Angela e Luciana, con cui poi divenni amico, accettarono il mio lavoro. Avevo proposto una serie umoristica che, anni dopo, avrei rielaborato come “Zio Boris”; uno dei personaggi era uno scheletro che poteva sembrare la parodia di Kriminal, il primo serio concorrente di Diabolik. Le sorelle – come le chiamo di solito – si divertirono, e nel ’65 uscì la prima puntata di “Scheletrino”. E’ un personaggio incredibilmente banale e mal disegnato, eppure moltissimi lo ricordano ancora.

Tra le tante iniziative a cui hai partecipato e creato insieme ad altri tuoi colleghi vorremmo soffermarci sulla rivista Horror, ideata insieme a Pier Carpi: una rivista innovativa per il mercato italiano di quel periodo. Cosa puoi raccontarci di quell’esperienza?
Alfredo Castelli: Abbandonato saggiamente il disegno, passai alla sola sceneggiatura e cominciai a scrivere racconti umoristici e avventurosi per vari editori: allora il mercato funzionava bene e non c’erano da affrontare particolari difficoltà, anche se il fatto di essere molto giovane (per essere precisi, il più giovane fumettista del momento) non sempre mi era d’aiuto. Nel 67, con Gino Sansoni, marito di Angela Giussani, curai un numero “professionale” di “Comics Club 104”, la prima fanzine italiana dedicata ai fumetti che avevo fondato l’anno precedente insieme a Paolo Sala. Da Sansoni lavorava Pier Carpi; tutti e due avevamo in mente una rivista dell’orrore (io più in stile “Creepy”, lui più in chiave esoterica), così la proponemmo. Il “dottore”, come tutti lo chiamavano, era un personaggio folle e geniale che meriterebbe una lunga trattazione, e non si tirava mai indietro di fronte alle sfide: così la pubblicò. Anche Pier Carpi era un tipo piuttosto fuori dai canoni e piuttosto “difficile”, tanto che a un certo momento litigammo ferocemente e lasciai la rivista. Molti anni dopo riprendemmo i rapporti e diventammo davvero amici. Carpi è morto il giorno del mio compleanno di dodici anni fa, e la cosa mi ha molto intristito. Aveva avuto moltissime idee, alcune delle quali geniali. Molte sue opere andrebbero riscoperte, ma è difficile trovare un editore che se ne occupi. In quanto a Horror, credo che sia stata la prima rivista “di prestigio” realizzata soltanto da autori italiani; ce n’erano di molto bravi, alcuni dei quali – per esempio Uggeri, Di Gennaro, Cimpellin, in forza al Corriere dei Piccoli – erano disposti a lavorare anche a compensi più bassi di quelli che erano abituati a percepire per il puro gusto di esserci. Carpi aveva poi “scoperto” alcuni eccezionali talenti, come Zaniboni, Rostagno, Cianti. Horror chiuse per le scarse vendite: 35.000 copie. Una tiratura per cui oggi gli editori firmerebbero un patto con il diavolo.

Nel periodo in cui hai collaborato al Corriere dei Piccoli hai dato vita a diversi personaggi: puoi parlarcene?
Alfredo Castelli: Il Corriere dei Piccoli era il più antico giornale per ragazzi italiano, un “classico” un po’ come ABC-zinho o O Mosquito in Portogallo, ed è uscito dal 1908 al 1995. Più che al Corriere dei Piccoli, per il quale ho realizzato solo poche storie, ho collaborato al Corriere dei Ragazzi, il nome che il settimanale ha assunto nel 1972 (poi il Corriere dei Piccoli ha ripreso le pubblicazioni, e le due testate hanno proseguito simultaneamente). Lo sceneggiatore principe del Corriere dei Piccoli/Ragazzi era Mino Milani, ma a un certo punto anch’io ho cominciato a produrre parecchio materiale, per esempio le serie L’Ombra e Gli Aristocratici, che Ferdinando Tacconi e io abbiamo continuato a produrre dopo la chiusura del Corriere dei Ragazzi per il settimanale tedesco Zack, con il titolo Gentlemen GmbH. Entrambe le serie sono state pubblicate in Portogallo da Cuto, a partire dal 1975; pochi anni fa sono riuscito a trovare tutti i numeri della rivista con le loro storie in un negozio di fumetti a Porto. Sempre per il “CdR” ripresi Zio Boris, la serie che avevo inizialmente proposto alle sorelle Giussani e che era uscita nel 1970 in Horror illustrata da Carlo Peroni. Con Bonvi (“Sturmtruppen”) e Dani Fagarazzi realizzammo una rubrica satirica di grande successo, Tilt, di cui, opportunamente caricaturati, eravamo anche i protagonisti insieme al direttore del giornale, Giancarlo Francesconi. Da solo realizzai una serie ancora molto amata, “L’omino bufo” (“Bufo” si dovrebbe scrivere “Buffo”, e significa “Engraçado” in portoghese, ma il protagonista parlava e scriveva in modo terribilmente sgrammaticato. “O Homenzinho Engraçado” si esibiva in terribili trocadilhos, che commentava ridendo in modo sgangherato – “Ah ah, ah! Che bufo!“). Siccome era disegnato malissimo, per il semplice fatto che non so disegnare, la serie non metteva in soggezione i lettori, che mandavano centinaia di battute una più “bufa” dell’altra. Forse l’Omino Bufo è il mio personaggio più ricordato; ogni tanto ne disegno ancora qualche “strissia” (si dovrebbe scrivere “Striscia”, “Tira” in portoghese) e ad agosto è uscita in edicola una statuetta che lo rappresenta. Il Corriere dei Ragazzi è stata una rivista davvero importante nel panorama italiano del fumetto. Oltre a pubblicare racconti di Hugo Pratt, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Grazia Nidasio, una donna arguta, acuta, coltissima, Uggeri, Aldo Di Gennaro, Milo Manara, Ferdinando Tacconi, Bonvi, Silver, Attilio Micheluzzi, Giancarlo Alessandrini, Alberto Breccia, Arturo Del Castillo, Jorge Moliterni, Gigi, Claude Moliterni e l’amabilissimo Albert Weinberg – con la maggior parte dei quali ho avuto la fortuna di collaborare –, Giancarlo Francesconi, l’aveva trasformato in un “vero” giornale, attento alla realtà e in grado di affrontare argomenti anche spinosi. Oltre a lavorarvi come sceneggiatore, ne fui redattore ed è in quella testata che ho compiuto il tirocinio per divenire giornalista professionista.

Hai collaborato con molti editori e inevitabilmente sei entrato in contatto con le pubblicazioni di Sergio Bonelli; Bonelli ha sempre scherzato sulla tua primo incontro con lui: puoi raccontare in quale occasione vi siete incontrati?
Alfredo Castelli: Sergio diceva sempre che mi aveva conosciuto “con i calzoni corti” e credo che ne fosse convinto davvero. Non è così: a quell’epoca avevo 18 anni e di pantaloni corti non se ne parlava più da chissà quando. Comunque anch’io per anni ho fatto confusione sul come e il perché chi siamo conosciuti (del “quando” sono sicuro: alla fine del ’65). Fino a pochi mesi fa a questa domanda ho sempre risposto con convinzione come segue: “Nel 1965, Paolo Sala, co-creatore della fanzine ‘Comics Club 104’ e io bussammo presso tutti gli editori di fumetti di Milano per cercare di venderne qualche copia. Passammo anche per la Bonelli, che allora si chiamava “Araldo”; ci aprì Liliana Gentini, la prima persona della casa editrice che ho conosciuto, ancor oggi in prima fila negli uffici di via Buonarroti, la quale ci disse che ci avrebbe fatto parlare con “Sergio”. Io non avevo la minima idea di chi fosse: il suo nome non compariva negli albi, in più allora era estremamente schivo, e solo quelli del mestiere sapevano di chi si trattasse. Con mia sorpresa acquistò una decina di copie: un atteggiamento generoso nei confronti di chi dimostrava di amare i fumetti che ha portato avanti fino alla fine.” Non era così: qualche mese fa mi è capitato tra le mani il primo numero di “Comics Club 104”, e mi sono reso conto che un articolo – “La historieta argentina”, l’avevo scritto grazie a un volume che Sergio mi aveva prestato. Non solo: “Comics Club” era del 1966, mentre io collaboravo con la “Collana Oceano” (una delle pochissime serie straniere edite da Bonelli, che pubblicava “Magnus the Robot Fighter”, “Doctor Solar”, “Frogmen”) fin dal 1965, con una rubrica sulla storia del fumetto. Come mai mi aveva affidato quell’incarico, visto che non avevo mai scritto nulla in proposito? Come mai ci eravamo conosciuti? Purtroppo, temo che non avrò mai modo di saperlo. Sta di fatto che Sergio mi affidò qualche sceneggiatura di “Carabina Slim” per Bernadette Ratier di “Aventures et Voyages“, con cui la Bonelli era in stretti rapporti di lavoro. Scrissi la prima storia per Zagor, Molok, verso il 1968, anche se fu pubblicata solo nel 1971.

Sul finire degli anni Sessanta e nei primi Settanta la realtà editoriale sul fumetto era molto vasta: rimpiange quei tempi o pensa che, anche oggi, non manchino poi le possibilità per emergere?
Alfredo Castelli: La possibilità di emergere esiste in qualunque situazione; il problema è la difficoltà, che ora è molto maggiore. Non è che rimpianga quei tempi; certo che allora le cose erano più facili. Un anno dopo aver cominciato, per esempio, mentre andavo all’università, scrivevo non solo per vari editori, ma anche per Maria Perego e Federico Caldura (gli inventori di “Topo Gigio”) per la serie a pupazzi animati “Cappuccetto a Pois / Die Abenteuer der Cappuccetto” (“Chapeuzinho de Bolinhas” in portoghese) trasmessa dalla TV svizzera; per “Carosello”, una rubrica pubblicitaria televisiva che ha fatto la storia della televisione italiana, costituita da piccoli spettacoli di vario genere in 100’’ (consiglio ai tuoi lettori di cercarlo in YouTube); guadagnavo discretamente e il lavoro non mancava mai. Adesso – salvo una fortuna sfacciata o una bravura straordinaria – per un esordiente la cosa è impensabile.

Sappiamo come il personaggio di Allan Quatermain abbia anticipato nei contenuti il successivo Martin Mystère: puoi parlarcene?
Alfredo Castelli: Allan Quatermain è stata la prima incarnazione di Martin Mystère e risale al 1975. Quell’anno presentai il progetto della serie a Il Giornalino, una testata per la quale nei primi anni ’70 avevo scritto un paio di serie (Gli Astrostoppisti, Mister Charade) e storie libere. Non lo accettò. In quell’epoca un rifiuto non costituiva certo un dramma: come ho detto il mercato funzionava molto bene, ed esistevano varie riviste che proponevano serie a episodi; se una cosa non andava se ne proponeva un’altra, senza troppi problemi. L’idea scartata poteva poi essere ritirata fuori al momento opportuno, come accadde con Allan Quatermain che uscì nel 1979 in SuperGulp. Dopo la chiusura del settimanale, la riproposi a Bonelli nella formula attuale nell’80; un paio di anni per la preparazione di un pacchetto di storie, e siamo subito nell’82.

Lo abbiamo citato e quindi soffermiamoci sul Detective dell’Impossibile. Il personaggio apparso nelle edicole nell’aprile del 1982 quanto differiva dalla tua idea primaria?
Alfredo Castelli: Non era molto differente, a parte i nomi, la lunghezza delle storie e il fatto che Quatermain viveva a Londra e non a New York.

Qual è stata la reazione di Sergio Bonelli dopo l’uscita delle prime avventure?
Alfredo Castelli: Lui si aspettava una serie più scatenata. Era molto perplesso nel vedere un personaggio di fumetti che utilizzava il computer – un apparecchio appena uscito sul mercato, ma che già allora Bonelli detestava come tutto ciò che era elettronico. Per tutta la vita mi ha rinfacciato – scherzando, ma non poi del tutto – che l’avevo imbrogliato portando avanti una serie diversa da quella che avevo proposto. Per quanto riguarda il computer, pare che Martin Mystère sia stato il primo personaggio dei fumetti in assoluto a possedere un “personal”. Non so se sia vero, ma in effetti non ho mai trovato esempi precedenti. Possedevo uno di quelli che allora si chiamavano “Home computer”, apparecchi non eccessivamente costosi che si attaccavano allo schermo TV. Era un Atari 800; si programmava in basic e si registrava il listato su un registratore a nastro; per farlo occorrevano parecchi minuti, e non era detto che la registrazione sarebbe stata abbastanza buona da permettere il ripristino. I “Personal Computer” erano appannaggio quasi esclusivo dell’IBM, e costavano veramente molto (facendo i debiti raffronti, potrei azzardare un 25.000 Euro attuali per un apparecchio con 128 K di RAM (!)). Non potendomelo permettere io, ho fatto in modo di farlo avere al mio personaggio.

Uno dei temi dominanti della serie – almeno nei primi dieci anni – è stato quello dei Continenti perduti: cosa ti affascinava allora di questo argomento?
Alfredo Castelli: Non direi genericamente “dei continenti perduti”, direi più specificamente “dei continenti perduti di Atlantide e di Mu”. Nella saga di Martin Mystère erano due civiltà evolute più o meno quanto la nostra le quali, per puro desiderio di espansione di potere, si erano scontrate in una guerra che, intorno a 10.000 anni fa, era culminata con la loro distruzione totale e aveva trascinato nella catastrofe il resto del mondo facendolo regredire i sopravvissuti a livello semi-barbarico. Un avvenimento che un’antica setta, “Gli Uomini in Nero”, cerca da sempre di tenere segreto, distruggendo tutto ciò che potrebbe provare che è accaduto: infatti se oggi ci rendessimo conto di quanto è successo nel remoto passato, probabilmente tenteremmo di non commettere gli stessi errori di chi ci ha preceduto, e questo sconvolgerebbe consolidati meccanismi di potere. Per un certo periodo questo assunto – che a mio parere possiede un suo fascino minaccioso – ha costituito la base su cui si è basato un buon 30% delle avventure di Martin Mystère. Poi ha cominciato a diventare ripetitivo, e l’ho messo un po’ da parte. Nei suoi trent’anni di vita, Martin Mystère si è occupato di “mysteri” di ogni tipo; “Mistérios” in italiano si dice “Misteri”; “Mysteri” con la “y” è un neologismo da me inventato che si è diffuso anche al di fuori dell’ambito Bonelli, e che serbe a distinguerli da quelli di carattere poliziesco o politico (purtroppo molti, in Italia). “Mystero” è tutto ciò che è insolito e curioso, che stimola la curiosità e il desiderio di saperne di più; non solo Atlantide, il Graal o gli UFO, ma la storia, le arti, la letteratura, le scienze esatte (“Il mystero dell’ultimo teorema di Fermat”).

Qual è la principale differenza tra scrivere Martin Mystère e Diabolik?
Alfredo Castelli: Scrivere Martin Mystère e scrivere Diabolik (o Tex) presenta difficoltà di segno opposto. Nessuno si scandalizza se Diabolik ruba per l’ennesima volta un diamante esposto al museo o se Tex si occupa per l’ennesima volta di una banda di rapinatori di diligenze. La difficoltà per questi due personaggi non è tanto quella di trovare nuovi spunti, ma quella di inventare infinite variazioni sugli stessi temi. Per Martin Mystère questo problema, grazie al cielo, non c’è, dato che si può spaziare su tantissimi argomenti, ma in compenso, contrariamente a Tex e Diabolik, non può affrontare due volte gli stessi argomenti: se Martin trova il Graal nella Basilica di San Nicola a Bari, non può trovarlo di nuovo nei sotterranei del Castello di São Jorge: lo spunto è “bruciato” per sempre. E’ ovvio che nei primi dieci anni di vita il “Detective dell’Impossibile” non aveva che l’imbarazzo della scelta, oggi, dopo tanto tempo e tanti diversi mysteri, è tutto molto più difficile, anche se sono certo che gli spunti non si esauriranno. Ora che, dopo il successo del Codice Da Vinci le storie mysteriose sono di gran moda (in Italia e Spagna escono decine di romanzi ogni mese su questi argomenti, e francamente mi domando come facciano a vendere) mi piacerebbe riprendere in modo diverso certi temi utilizzati negli anni ‘80. Prima o poi troverò qualche accorgimento per farlo.

Quali ritieni siano stati i cambiamenti della serie in questi trent’anni di vita editoriale?
Alfredo Castelli: Nessun cambiamento traumatico come quelli – per intendersi – dei super eroi americani. Come ho detto, sono un po’ cambiati i “mysteri”; il BVZM è invecchiato un pochino (non certo trent’anni come il suo autore: diciamo che per i personaggi di fumetti – beati loro – trascorre solo un anno ogni cinque anni dei nostri), è divenuto più pantofolaio, si è sposato con Diana ed è decisamente più umano e simpatico del Martin delle origini. I suoi lettori lo chiamano affettuosamente BVZM (“Buon Vecchio Zio Marty”, “O Bom Velho Tio Marty” in portoghese), lo considerano come un amico e amano credere che si tratti di una persona reale; un rapporto – quello di Martin e dei suoi lettori – di cui sono davvero molto fiero.

Parlando di rapporti: Il modello “eroe/assistente forte/fidanzata eterna (Martin Mystère / Java / Diana)” sarebbe identico se avessi creato Martin Mystère oggigiorno?
Alfredo Castelli: Direi di sì. Con i cambiamenti del caso funziona sempre, da Plauto a Goldoni a Cervantes ai protagonisti di due film molto “mysteriosi”, Il mistero dei Templari e Il mistero delle pagine perdute, della Disney.

Se inventassi adesso Martin Mystère lo modificheresti? E come?
Alfredo Castelli: E’ una domanda a cui è impossibile rispondere; le variabili sono troppe. Se Martin Mystère non esistesse, ma il resto del mondo (compreso e soprattutto quello editoriale) fosse esattamente quello di adesso, non tenterei neppure di proporre Martin Mystère: non sarebbe più un personaggio originale come era nel 1982, e soprattutto avrebbe troppa concorrenza tra libri, film programmi televisivi.

La bimestralità ha secondo noi giovato alla serie; il pubblico come ha accolto questo rinnovamento?
Alfredo Castelli: Quella di trasformare la serie da mensile in bimestrale è stata una mossa che alcuni hanno erroneamente interpretato come un segnale che le cose non andavano bene e si tentava di salvare il salvabile. Non era così: si trattava di una scelta precisa che permetteva di uscire con albi molto spessi, veri e propri libri di 160 pagine, e di raccontare storie complete senza doverle comprimere in 96 pagine. Contavo che i lettori l’avrebbero capito, e così è stato. Il cambiamento di periodicità è avvenuto a partire dal N. 279 del giugno 2005, e ha avuto subito effetti positivi sulle vendite. Lo stesso Sergio Bonelli, che era contrario all’operazione pur avendomi permesso di portarla a buon fine, ha ammesso pubblicamente e con molto fair play di essersi sbagliato e di essere contento del suo errore.

Durante questi anni hai creduto molte volte alle risposte che Martin Mystère ha ottenuto?
Alfredo Castelli: Anche se spesso le vicende del Detective dell’Impossibile hanno una precisa base storica, letteraria o di altro genere, Martin Mystère è un personaggio di fantasia che racconta storie di fantasia. Tengo molto a sottolinearlo, e non a caso in ogni numero compare un articolo che spiega cosa c’è di vero e cosa di inventato nei racconti, perché non intendo fare credere ai lettori loro cose non vere. Poste queste premesse, posso rispondere che “credo” alle risposte ottenute da Martin a seconda dei casi. Ci sono risposte completamente fantastiche a cui ovviamente non credo; altre più meno plausibili ancorché non canoniche, sulla cui veridicità posso fare un pensiero. Se invece intendi chiedermi come mi pongo di fronte a una materia controversa come quella affrontata da Martin (fenomeni paranormali, UFO, magia e via dicendo), ti dirò che sono abbastanza scettico. A suo modo lo è anche il Detective dell’Impossibile, che non accetta mai a nulla a priori, ma si documenta e indaga in modo quanto possibile obiettivo. Ovviamente Martin vive in un mondo che, pur se molto simile al nostro, è di fantasia, e dove quindi certi fenomeni possono tranquillamente accadere.

C’è qualche storia di Martin Mystère che non sei ancora riuscito a raccontare?
Alfredo Castelli: Ci sono storie che mi piacerebbe raccontare ma ho scelto di non farlo, seguendo la filosofia della casa editrice con cui in linea di massima concordo. Obiettivo dei nostri albi seriali (le regole possono non valere per gli “one shot”) è un intrattenimento quanto possibile intelligente, nel caso di Martin Mystère con un sottofondo “educational”. I loro protagonisti possono – anzi debbono – possedere una valenza politica (per esempio Martin Mystère è un democratico liberal, in Italia diremmo genericamente “di sinistra”, e le sue azioni lo dimostrano) ma non un inquadramento partitico, che sconfinerebbe nella propaganda. Martin ammette di non essere molto religioso nel senso tradizionale del termine, ma rispetta ogni scelta in questo campo quando essa non lede la libertà altrui. In questo senso – il rispetto – va inquadrata la scelta di evitare storie su mysteri religiosi o miracoli. Le apparizioni di Fatima, per esempio, con il “sole che danza” e il Terzo Segreto potrebbero essere un ottimo spunto e venire interpretati in chiavi molto interessanti, ma queste interpretazioni urterebbero la sensibilità di chi crede. Negli albi Bonelli è difficile affrontare anche l’attualità in senso stretto, in quanto dal momento della prima idea per un racconto a quello dell’uscita di un albo trascorre al minimo (ma proprio al minimo) un anno. Poiché Martin Mystère si muove in un mondo reale, in alcuni casi clamorosi (il per esempio l’abbattimento delle Twin Towers) siamo intervenuti ritoccando i dialoghi e cambiando qualche vignetta poco prima di andare in stampa, ma è il massimo di attualità che possiamo permetterci. Le storie legate a temi del momento provocherebbero giustamente reazioni in positivo o in negativo, tuttavia, a causa dei tempi di realizzazione degli albi, non sarebbe possibile un contraddittorio e questo sarebbe poco corretto.

Qual è il tuo metodo di lavoro per scrivere le storie di Martin Mystère?
Alfredo Castelli: Il peggiore di tutti, che non suggerisco mai a nessuno. Il metodo corretto per scrivere una storia, sia essa un fumetto, un romanzo o un film, è stendere un soggetto, aggiustarlo, e quando funziona sceneggiarlo o comunque portarlo in “bella copia”. Io invece spesso parto senza sapere neanche quale sarà il tema centrale del racconto, magari perché un disegnatore è rimasto privo di sceneggiatura e ha bisogno di lavorare. Dopo aver inviato un po’ di tavole buone per qualunque situazione, vado avanti a colpi di dieci quindici pagine alla volta, scoprendo io stesso a poco a poco di cosa sto parlando, e spesso ficcandomi in situazioni terribilmente ingarbugliate. Fino a ora sono riuscito a cavarmela, ma – anche se mi ci sono abituato – è un sistema molto faticoso, insicuro e stressante.

E’ stato facile per te consegnare Martin Mystère ad altri autori? Quali sono i tuoi rapporti con loro?
Alfredo Castelli: Assolutamente sì. L’idea di avere degli aiuti mi ha dato maggior tranquillità. Gli autori scrivono o disegnano secondo la loro personalità; firmano le storie e percepiscono diritti d’autore nella stessa misura in cui li percepisco io. Confesso però di essere un po’ dispotico, come le sorelle Giussani erano con Diabolik o come Sergio era con Zagor o Tex. Spesso riscrivo i dialoghi nel modo che mi sembra più corretto, e in caso di discussioni anche sul disegno, se non si arriva a una soluzione mediata l’ultima parola è la mia in quanto creatore e soprattutto curatore e responsabile della serie. Malgrado questo, spero e credo di essere abbastanza benvoluto dai miei colleghi.

Quale è la storia di Martin Mystère di un altro autore che ti piacerebbe avere scritto? Quale è il disegnatore con cui ti è maggiormente piaciuto lavorare per Martin Mystère?
Alfredo Castelli: A queste due domande che riguardano i molti altri bravi autori che si alternano su Martin Mystère preferisco non rispondere. Non sono così ipocrita da fingere di non avere preferenze come fa un amorevole padre con i suoi figli: ovviamente ho i miei preferiti, ma per rispetto di chi non lo è, non intendo rivelare quali sono. E comunque (questo è vero) tutti hanno contribuito a far si che dopo trent’anni la serie sia ancora viva e vegeta.

Senza far torto agli altri tuoi collaboratori, riteniamo Paolo Morales uno sceneggiatore (nonché valido disegnatore) con quella capacità di coniugare documentazione, azione e profondità psicologica dei personaggi, i protagonisti in primis. Abbiamo l’impressione che l’autore sia un sorta di tuo alter-ego: sbagliamo?
Alfredo Castelli: Morales ha una straordinaria capacità di visualizzare l’azione: non a caso ha realizzato storyboards di film importanti come “Gangues de Nova Iorque” di Martin Scorsese. E’ anche bravissimo nel tratteggiare i caratteri dei personaggi e a farli interagire. La sua specialità sono storie in cui compiono complotti forse poco mysteriosi, ma senz’altro inquietanti e realistici. Ahimé, temo proprio che come sceneggiatore sia molto più bravo di me. Bah, faccio finta di credere che lo sia soltanto perchè più giovane.

Carlo Recagno è invece il tuo braccio destro di redazione: cosa puoi dirci di lui?
Alfredo Castelli: Il primo racconto di Carlo Recagno, Aria di Baker Street, è del dicembre 1992; tra poco si festeggerà dunque il ventennale della sua collaborazione con la Bonelli, dapprima come sceneggiatore esterno e poi come redattore. Per quell’albo aveva realizzato uno storyboard così preciso che, con qualche aggiustamento, avrebbe potuto essere pubblicato: è infatti un illustratore più che discreto, anche se ha preferito lasciare perdere il disegno in favore della scrittura. Oltre a essere un amico, un prezioso collaboratore e un bravo autore (la sua specialità sono le storie “fantasy”, soprattutto con personaggi delle mitologie nordiche, e racconti di ambientazione vittoriana), Carlo è un individuo particolarmente mysterioso. Di poche parole (su di lui corre il detto “Suonò il telefono, non rispose nessuno: era Recagno”), molti sospettano che sia un cyborg di “Star Trek”, serie per cui nutre una smodata passione. Il fatto che da anni tutti i mezzogiorni mangi un hamburger da MacDonald e sia ancora vivo dimostra la sua origine aliena. A Carlo è dedicato una sorta di quiz molto apprezzato dai lettori: nei risguardi di Martin Mystère è sempre nascosta una sua piccola immagine, a volte difficilissima da trovare.

Quale disegnatore non bonelliano ti piacerebbe che illustrasse una storia di Martin Mystère?
Alfredo Castelli: Disegnatore, non ne ho idea. Ce ne sono tantissimi di bravissimi, non saprei chi scegliere. Invece mi piacerebbe che Neil Gaiman e Alan Moore scrivessero una storia. O anche tutte. Scritte e disegnate in modo completamente non bonelliano sono le avventure televisive del giovane Martin Mystère (in Portogallo Martin Mystery, dal 2011 nel canale Panda Biggs). Ecco, prima parlavamo di cambiamenti. Qui, con la mia approvazione, il personaggio è stato radicalmente trasformato per una serie di 66 cartoni dedicata a un pubblico di 10/12 anni. Ho notato che molte volte le trasposizione animate di storie avventurose (come per esempio Diabolik) risultano “Nem carne nem peixe”: non sono abbastanza simili all’originale per accontentare i lettori, né abbastanza diverse per accontentare altri pubblici. Non è il caso di “Martin Mystery”, il quale, appunto, non è “Nem carne nem peixe” ma qualcos’altro (Frutta? Dolce?) che può piacere o non piacere. A me personalmente la serie non dispiace, anche se ovviamente sono condizionato dall’originale, e, ancor più ovviamente, non ho né 10 né 15 anni. E’ stato un po’ come vedere un figlio crescere e svilupparsi da solo.

Conosci il Portogallo? Ci hai mai ambientato qualche storia di Martin Mystère?
Alfredo Castelli: Conosco il Portogallo, ci sono strato varie volte (anche in vacanza, in Algarve) e mi piace moltissimo Lisbona. Sono in contatto con Leonardo De Sà (so che la “a” dovrebbe avere l’accento acuto, ma non si trova nella tastiera italiana e bisogna cercare il carattere chissà dove) (N.T.: per la comodità dell’intervistato, abbiamo risolto il problema nella traduzione: Sá :-), grande esperto di fumetti, con cui da anni sono in corrispondenza, e ho pacchi di libri e riviste dedicate alla produzione portoghese, tra cui molto materiale sul “precursore” Rafael Bordalo Pinheiro (sono rimasto piacevolmente stupito del fatto che un giornale diffuso come “Expresso” gli abbia dedicato un volume collaterale). Sono anni che medito di andare al festival di Amadora, che però purtroppo coincide con quello di Lucca, dove ho sempre qualche impegno. Mi spiace che Martin Mystère non sia mai uscito in Portogallo (è stato importato dal Brasile per qualche tempo); prima o poi gli farò vivere un’avventura a Lisbona, sperando che venga “scoperto”. Leonardo mi aveva suggerito qualcosa legato alla ricostruzione dopo il terremoto del 1755, poi me ne sono dimenticato. Hai fatto bene a ricordarmelo.

Lasciamo il Detective dell’Impossibile per dibattere su Zagor: hai sempre utilizzato Cico in maniera strepitosa: cosa ti ha conquistato di questo personaggio? Quali sono state le difficoltà quando hai scritto le storie dell’eroe nolittiano?
Alfredo Castelli: Raggiungere l’equilibro tra azione e umorismo, cosa in cui Nolitta/Bonelli era un maestro. Mi sono sempre divertito e mi diverto tuttora a leggere Zagor; scriverlo, invece, non mi ha mai entusiasmato, forse anche perché le mie storie non piacevano (uso un eufemismo) per niente a Sergio. Anche la mia versione di Cico non è mai stata molto apprezzata. Neppure da me.

Tra le tue storie ricordiamo con piacere Piccoli assassini (ZG 173/174) e Il grande complotto (ZG 205/209); quest’ultima, in particolare, presentava una struttura narrativa molto complessa: cosa ricordi di quest’avventura?
Alfredo Castelli: Mi sembra di ricordare di aver finito Piccoli Assassini in fretta e furia qualche giorno prima di partire per la Colombia e restarci un paio di mesi. Invece della genesi del Grande Complotto non ricordo nulla, se non che – credo – per la prima volta avevo introdotto il personaggio di un Ninja in un fumetto italiano. Nel 1980 Eric Van Lustbander aveva scritto il romanzo Ninja, da cui avevo attinto notizie prima che venisse tradotto. Rammento anche che nel racconto avevo inserito un agente segreto inglese di nome Mycroft (come il fratello di Sherlock Holmes, impiegato, appunto, presso i servizi segreti) e avevo descritto “Il tessitore” più o meno con le parole usate da Sherlock Holmes per descrivere il malvagio Professor Moriarty. Sono felice che Moreno Burattini – secondo me l’autore che meglio ha saputo interpretare lo Zagor di Bonelli – abbia ripreso il cattivo del racconto, “Il Tessitore”, e gli abbia dato una precisa identità.

L’altro personaggio nolittiano, Mister No, ti ha permesso di scrivere racconti più vicini alla tua sensibilità: quali sono state le affinità narrative con questo personaggio?
Alfredo Castelli: Ritengo Mister No il miglior personaggio di Bonelli e della Bonelli. Scriverne le storie per me era un piacere; ricordo che mi sembrava addirittura di respirare le atmosfere amazzoniche che Sergio descriveva magistralmente. C’è stato un momento in cui l’ho superato per numero di storie, e devo dire che di solito, contrariamente a quelle di Zagor, lui dimostrava di apprezzarle. A un certo punto ho dovuto rallentare la produzione per dedicarmi a Martin Mystère; sono tuttavia riuscito a costruire un cros-over “a distanza” tra il pilota amazzonico e il Detective dell’Impossibile che costituisce un avvenimento unico nella casa editrice. Nel novembre/dicembre 1990 Mister No, momentaneamente trasferito in Africa, si imbatteva in un mystero che riguardava il Faraone Ekhnaton (Il faraone dimenticato e Labirinto infernale, Nn. 186/187) e che rimaneva in parte insoluto; negli stessi mesi (novembre e dicembre 1990, gennaio 1991), negli albi Un uomo chiamato Mhosis, Tragico Natale, L’Arca ritrovata (Nn. 104-106) Martin Mystère, al presente, risolveva il mistero parzialmente svelato da Mister No.

Hai collaborato anche con Tiziano Sclavi al suo Dylan Dog e ai team-up tra l’Indagatore dell’Incubo e Martin: cosa puoi dirci di questa esperienza?
Alfredo Castelli: Sono amico di Tiziano dai tempi del Corriere dei Ragazzi; tra i miei “meriti storici” c’è quello di averlo introdotto alla Bonelli. Se non ci fosse stato Dylan Dog, che ha fatto riscoprire il fumetto alle giovani generazioni e ha avvicinato il pubblico femminile a questo mezzo di comunicazione, il mercato italiano non sarebbe lo stesso. Di Dylan Dog ho scritto solo un albo, Dal profondo, faticando molto e con risultati non eccelsi; sono più soddisfatto dei due team-up che ho progettato e di cui ho sceneggiato il primo albo (1990; quello del 1992 è di Tiziano). Gli incontri tra Dylan e Martin si sono fermati purtroppo al N. 2 perché l’idea dei “Team Up” non piaceva né a Bonelli né a Sclavi. Gli incontri tra personaggi mi divertono e ne propongono sfaccettature inedite; devono essere però una sorta di “bonus” a periodicità molto diradata, altrimenti si arriva alle esagerazioni del mercato americano, dove tutti incontrano ossessivamente tutti. Martin Mystère è stato protagonista di numerosi team-up: ha incontrato Mister No in varie occasioni, compreso un albo speciale intitolato Fuga da Skynet (1993) firmato a quattro mani da Sergio Bonelli e da me. Un suo clone robotico fa parte del cast di Nathan Never, dove è rimasto permanentemente dopo due incontri avvenuti nel 1996 e nel 2001, mentre in molti numeri di Zagor compare “Altrove”, mysteriosa base governativa fondata da Benjamin Franklin e Thomas Jefferson che nel mondo di Martin Mystère (e in quelli di Zagor e Nathan Never) si occupa di minacce soprannaturali.

Tex, invece, è un personaggio forse fuori dalla tue corde; ti piacerebbe fare un tentativo?
Alfredo Castelli: Pur apprezzando Tex ed essendo infinitamente grato a lui e al suo creatore perché senza di loro le cose sarebbero andata in modo diverso, ammetto che il personaggio non è nelle mie corde, quindi è meglio per me e per i lettori se non faccio tentativi controvoglia. Del mondo di Tex apprezzo però i personaggi mysteriosi come El Morisco e Mefisto. Ecco, su Mefisto mi sarebbe piaciuto scrivere una storia (senza Tex) che spiega come da prestigiatore da circo sia diventato un potente stregone, ma la proposta è stata rifiutata.

Per quale eroe Bonelli non hai ancora lavorato e per il quale ti piacerebbe scrivere? E cosa ti piacerebbe raccontare se ti chiedessero di progettare una nuova serie?
Alfredo Castelli: Non ho un particolare desiderio di scrivere altre serie in formula Bonelliana, sia mie sia di altri: forse quaranta e passa anni di sceneggiature di questo tipo mi hanno stancato un po’. Mi piacerebbe, invece, inventare (e magari, successivamente, scrivere per) nuove formule editoriali, che tengano conto della (purtroppo) mutata realtà del mercato. Qualcosa sta cominciando a muoversi. Spero che avremo occasione di riparlarne!

Caro Alfredo, ti ringraziamo moltissimo per l’intervista che ci hai così gentilmente concesso.
Alfredo Castelli: A presto, e tante grazie per aver pensato a me.

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

11 Comentários

  1. Non so come la pensate voi, ma per me, quella di narrare come Mefisto è divenuto da semplice prestigiatore un vero e proprio mago è una gran bella idea e sarebbe un soggetto perfetto per “Le Storie”. Secondo me Castelli dovrebbe proporlo. 😉
    Chissà che stavolta Marcheselli non lo accetti.

    Classica osservazione da avvocato: ma per proporre una storia di un personaggio della saga di Tex al di fuori delle serie strettamente texiane occorrerà anche il permesso dei detentori dei diritti d’autore o il contratto con loro consente liberamente anche questo tipo di one shot? Mah!

  2. E’ sempre un piacere leggere le interviste di un grande come Castelli, sempre brillante e interessante, a volte persino fin troppo modesto.

  3. Intervista completa ed esaustiva, grande Castelli e grandi i nostri pard del blog portoghese nel relizzare delle interviste di questa caratura. Complimentissimi….(Pard Pallino del Tex Willer Forum).

  4. Ciao Alfredo, puoi mandarmi una tua tavola o disegno autografato? Ti lascio mio indirizzo: Cono Vincenzo, Viale Romagna 19 – 20093 Cologno Monzese, Milano.
    Grazie al momento non lavoro e la salute è cosi cosi.

  5. Effettivamente su Zagor ha dato risultati un po altalenanti e scritto meno storie che per Mister No. Come già scritto, proprio tosto il suo Cico! Ma se al mitico Sergione non piacevano tanto le sue storie, perché glie le pubblicava!?! Per mandare avanti la serie? Perché, come già scritto mi pare da qualcuno, comunque erano le più interessanti? Non so se si cita nell’ intervista, ma ha scritto anche due storie per “Ken Parker”!
    Nell’ avventura di “Martin Mystere” con i robot ha un po esagerato secondo me nel ripresentare

    SPOILER l’ amico di MM con lo scherzo dopo che ne “La fonte della giovinezza” l’ aveva fatto ringiovanire! Penso sia un altro po più plausibile quest’ ultima cosa che non lo scherzo orchestrato! XD FINE SPOILER

    In uno dei primi numeri del detective dell’ impossibile ha anche scritto del teschio di cristallo, tornato alla ribalta con l’ ultimo Indiana Jones! Belle d interessanti le rubriche d’ approfondimento della serie. Se non erro tra i redattori c’ era Sclavi.
    Notare come abbia scritto una bella storia di vampiri sia per Zagor con “Il ritorno del vampiro” che per Martin con “Un vampiro a New York”! Potevate chiedergli se è appassionato di vampirismo! XD

  6. Buongiorno e auguri per il suo compleanno, grandissimo, bravissimo e inimitabile ° ALFREDO CASTELLI, fantastico illustratore e beniamino di mio papà Pippo. Io sto incominciando una spassionata raccolta di autografi di persone famose a me simpatiche e mi piacerebbe possederne tanti e nello stesso tempo fare una sorpresona a mio padre per il suo compleanno.
    Se le è possibile potrei avere il piacere di avere qualche disegno con autografo e dedica (per mio padre Pippo)?
    Il mio nome è Chiara e ho 13 anni e vado in 3° media.
    Il mio indirizzo è il seguente:
    Chiara Alessandrello
    via Palestro 318
    97019 VITTORIA (RG)
    Grazie anticipatamente per quello che farà.
    Saluti, Chiara
    AUGURiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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