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Interviste condotte da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli e Sandro Palmas per la formulazione delle domande , di Bira Dantas per la caricatura e di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni.
TITO FARACI
Con “L’inseguimento” presenti ancora una volta ai lettori un western cupo e selvaggio, dove si sposta freneticamente il protagonista, Vince Stanton, un personaggio solitario e in lotta per la sopravvivenza, braccato da Tex e Tiger, dai coloni e addirittura dalla sua stessa banda. Sembri insomma ripercorrere la falsariga di molte delle tue storie già pubblicate, con le opportune variazioni. Cosa rispondi a chi trova questo schema narrativo in un certo qual modo ripetitivo?
Tito Faraci: Rispondo che storie come “Gioco dannato” (titolo di lavorazione del Maxi Tex “La belva umana”) o “L’uomo di Baltimora”, per dire, sono molto diverse. E soprattutto sono molto diverse storie attualmente in lavorazione. Il caso ha voluto che storie con elementi simili fossero ultimate dei disegnatori e uscissero relativamente vicine una all’altra. Capita. Comunque, “L’inseguimento” rispecchia in effetti una mia visione del western, che ho esplorato e approfondito in alcune storie. Diciamo che è un ciclo finito. Almeno per ora, ho abbandonato questo filone per dedicarmi ad altre modalità di racconto. In questo, mi è di grande aiuto Mauro Boselli, eccellente curatore della serie.
Anche questa tua storia punta molto sul ritmo: come riesci a organizzare i dialoghi tipici della texianità in sceneggiature tambureggianti?
Tito Faraci: Io parto sempre dall’elemento visivo. Immagino la pagina, addirittura facendo dei piccoli disegni (solo a mio uso), prima di scrivere la sceneggiatura. I dialoghi, nella forma definita, arrivano dopo. Questo è il mio metodo. Non parto dai dialoghi, sebbene li ritenga ovviamente molto importanti. Soprattutto per un personaggio che ha un suo linguaggio specifico, come Tex.
Abbiamo trovato sicuramente apprezzabile la caratterizzazione di Stanton, un personaggio “anguillesco”, quasi una simpatica canaglia. Ti sforzi indubbiamente di presentare dei personaggi del tutto particolari, quasi come se, scrivendo Tex, ti ponessi come obiettivo la ricerca di un’umanità che in questo fumetto, a torto o a ragione, è passata sempre in secondo piano.
Tito Faraci: A me sembra invece che l’aspetto umano sia sempre stato importante in Tex. Delle storie più belle, ricordiamo personaggi dotati di grande umanità. Anche di contraddizioni, capaci di riscattarsi. Stanton, comunque, resta una canaglia dall’inizio alla fine. A tratti può ispirare una certa simpatia, ma non si redime mai.
La resa dei conti, almeno parzialmente, avviene nel cimitero in cui si scatena l’infernale sparatoria tra Stanton, i coloni e i due pards. A parte quasi l’ironico stereotipo del bottino sepolto sotto una lapide, piace la trovata della monumentale statua dell’angelo posta a custodire il tesoro. Conquista anche l’accorgimento che usi nelle pagine finali in cui si conclude la parabola di Stanton. Possiamo abituarci all’idea che simili espedienti sono ormai parte integrante della ricetta faraciana di Tex?
Tito Faraci: Quel finale a me piace moltissimo. Ne sono fiero, lo ammetto. Mi diverte pensare che il lettore possa immaginarsi una sua prosecuzione della storia, con nuove fughe e inseguimenti. Però va bene per una sola storia. Un finale del genere non può essere ripetuto. Ho il mio stile, ma cerco di inventarmi ogni volta “trucchi” nuovi. Le lunghe sparatorie mi divertono parecchio. Tuttavia, ho deciso di limitarne un po’ l’uso nelle prossime sceneggiature.
La figura di Vince Stanton emerge tra la folla di cattivi che hai presentato: ci ha colpito il finale, quasi ironico, in cui il bandito sembra convinto di aver buggerato tutti ma, nell’ultima vignetta, si ritrova alle spalle Tex e Tiger. Come hai elaborato questa idea indubbiamente spiazzante rispetto alla classicità texiana? Pensi che i lettori tradizionalisti possano mal digerire simili soluzioni?
Tito Faraci: Credo di avere già risposto. Aggiungo che metto in conto di spiazzare qualche lettore, ma non per questo non bisogna tentare nuove soluzioni narrative, seppure nel rispetto della tradizione. La lezione che ci hanno dato i grandi maestri, come Gian Luigi Bonelli, è di guardare avanti, avventurarsi su nuove strade, di scrivere storie per il pubblico del proprio tempo. Clonare lo stile di un maestro è il peggior modo per metterne a frutto la lezione.
Abbiamo trovato funzionale l’idea di far agire Tex e Tiger: i due si muovono in maniera perfetta, risoluti e scaltri, ma non pensi che, nei dialoghi, si potrebbe spingere più sul lato dell’ironia?
Tito Faraci: Non credo che sarebbe stato opportuno, in una storia dura e “secca” come questa. Sarebbe stata una nota stonata. In altri casi, però, utilizzo molto volentieri quell’ironia tipica di Tex.
In questa tua ultima storia affianchi a Tex anche il pard indiano Tiger. Una coppia che, come le precedenti, è sembrata a tutti piuttosto convincente. Dopo anni e anni in cui si è rimproverato a Claudio Nizzi la predilezione per l’accoppiata Tex e Carson, puoi dirci su quale pard intendi puntare con maggior frequenza nelle storie future (quando ovviamente non userai il quartetto al completo)?
Tito Faraci: Per la verità, ora come ora mi interessa molto usare proprio il quartetto. La ritengo una sfida molto stimolante. Usarli insieme, tutti e quattro, dando a ciascuno il giusto risalto, mettendo in luce le specifiche caratteristiche, evitando sovrapposizioni. Non è semplice, ma ci sto lavorando con il massimo impegno. E con i preziosissimi consigli di Mauro.
CORRADO MASTANTUONO
Ne “L’inseguimento”, oltre a Tex, ti sei dovuto confrontare con Tiger Jack, un personaggio che hai già disegnato in passato. Dal momento che si dice che la fisionomia di questo personaggio sia un po’ Tex con i capelli lunghi e visto che tu dai una marcata caratterizzazione dei nativi sin dai tempi del texone, puoi raccontarci l’interpretazione del pard indiano di Tex?
Corrado Mastantuono: Eh, eh, in parte è vero quello che dici. Per realizzare Tiger mi ispiro fortemente alla caratterizzazione da cui parto per Tex, il primo però è più nervoso, se possibile ancora meno espressivo, occhi profondi e nerissimi e il naso aquilino che non ha niente a che vedere con quello regolare e dritto del ranger. Insomma, anche se la struttura e i punti di partenza sono i medesimi, i due personaggi dovrebbero risultare distinti e inequivocabilmente diversi.
In questa storia i volti di Tex e Tiger sono perfetti: gli sguardi, le espressioni ecc. Hai avuto delle difficoltà particolari, partendo dal tuo debutto texiano, per centrare questi due personaggi?
Corrado Mastantuono: Quando si parla dei quattro personaggi le difficoltà ci sono sempre. Per ognuno, storia dopo storia, pagina dopo pagina, continuo a cambiare dettagli, ad aggiungere impercettibili varianti, a studiare modi sempre nuovi per rendere al meglio la recitazione di ognuno. In questa ultima storia il mio impegno è andato quasi esclusivamente su Tex. Mi si rimproverava la poca riconoscibilità e la cupezza nella mia versione, allora il mio lavoro è servito ad approfondire la capacità di gestire il personaggio in ogni situazione, in ogni possibilità recitativa.
Sempre parlando di caratterizzazioni, non si contano nell’ultima storia di Faraci i personaggi con i capelli lunghissimi, ad iniziare dall’antagonista Stanton. Puoi spiegarci la ragione di questa scelta? E’ forse un modo di mostrare un West crepuscolare e sordido?
Corrado Mastantuono: E’ vero ma non è pensato a tavolino. Il tutto viene fuori abbastanza spontaneamente. Se ci fai caso spesso i miei personaggi non sono mai neanche perfettamente rasati, tranne i signorotti dell’alta borghesia col panciotto e la cipolla nel taschino, questo perché la mia idea di West è proprio basata sull’aspetto selvaggio, sulla polvere, sulla mancanza di ogni possibilità di curare la propria persona. La maggior parte delle persone non avevano la possibilità di farsi il bagno tanto spesso, né tanto meno lavarsi i capelli. La barba si radeva di rado e al barbiere spesso si preferiva un taglio approssimativo fatto alla buona. In questo panorama non è difficile immaginare i miei personaggi polverosi e dai capelli lunghi e sudici.
Ormai ti vediamo padroneggiare molto bene l’iconografia texiana: attraverso quali passaggi sei arrivato a questo risultato?
Corrado Mastantuono: Documentazione di ogni tipo. Molti fumetti del “nostro” Tex, ovviamente, poi storie western di tutti i tipi, libri, illustrazioni e molte foto. Internet negli ultimi dieci anni ha molto facilitato questo lavoro.
Il ritmo è una delle peculiarità delle sceneggiature di Faraci: quali sono le caratteristiche a cui ti attieni quando metti in scena sequenze d’azione? In genere, su Tex ti piacerebbe far recitare più i personaggi o pensi che oltre un certo limite non si possa andare?
Corrado Mastantuono: I personaggi devono essere realistici ma non necessariamente reali. Devo spingere la caratterizzazione e la recitazione dove è più utile per rendere la narrazione fluida e soprattutto comprensibile. In genere nelle storie di Tex la recitazione è registrata al minimo, niente di eclatante, tutto deve essere rappresentato nella maniera più sobria e convincente. Poi però ci sono anche dei personaggi che sono volutamente sopra le righe e lì magari posso sbizzarrirmi di più per quanto riguarda la gestualità e le espressioni.
Molto belle le sequenze sul fiume, nel primo albo. In tema di ambientazioni anche stavolta ti sei dovuto confrontare con il tradizionale West. E’ una location che ti è congeniale o vorresti provare qualcosa di nuovo? Magari un paesaggio nordico e innevato, che è forse anche più adatto al tuo stile?
Corrado Mastantuono: Non ho preferenze. Il lavoro è lavoro e, in quanto tale, è faticoso a prescindere. In ogni caso devo racimolare sufficiente documentazione e esplorare le novità con rispetto e la dovuta devozione. Per farti un esempio, tra me e me mi lamentavo della lunga sequenza sotto la pioggia che, anche se ti sicuro impatto, porta via al disegnatore molto tempo, ecco, nella storia che sto realizzando le prime sessanta pagine sono sotto il diluvio universale. Questo per dire che è meglio non lamentarsi mai perché può sempre capitare qualche storia che ti farà rimpiangere quella precedente.
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