Di Sergio Badino (Testo pubblicato nel 2011 sulla rivista Andersen e riproposto in questo omaggio per gentile concessione dell’autore)
La notizia della morte di Sergio Bonelli si è diffusa la mattina di lunedì 26 settembre scorso. Lo sgomento e il senso di vuoto che sono seguiti tra il pubblico e gli addetti ai lavori sono stati immensi: una reazione emotiva proporzionata allo spazio lasciato vacante dalla dipartita di una persona così carismatica e significativa.
Per il mondo del fumetto in particolare italiano, ma con ripercussioni anche in ambito internazionale, la figura di Sergio Bonelli è equiparabile a quella di Steve Jobs – anch’egli scomparso da poco – in campo informatico o a Stanley Kubrick per quel che riguarda il cinema: individui speciali, dotati di grande intuito, talento e capacità di innovare pur senza rinnegare il lavoro svolto da altri e da loro stessi in passato.
Sergio Bonelli nasce a Milano nel 1932 da Gian Luigi e Tea Bonelli, fondatori della casa editrice che, nel corso degli anni, si è evoluta fino a diventare quella Sergio Bonelli Editore che è oggi il colosso per eccellenza dell’editoria a strisce nostrana. Gian Luigi Bonelli, oltre a Sergio, ha un altro celebre figlio che però di cognome fa Willer: Tex, personaggio nato nel 1948, è diventato nel corso degli anni il fumetto italiano più famoso non solo nel nostro Paese, ma probabilmente anche all’estero. Il successo è dovuto sia al realismo dei testi di Bonelli Senior, sia al dinamismo dei disegni di Aurelio Galleppini. Oggi Tex, la cui eredità è stata raccolta nel corso degli anni da numerosi altri autori, continua a uscire non soltanto sulla serie regolare mensile composta da storie inedite, ma anche su numerose ristampe e riedizioni, una su tutte quella a colori tuttora in corso proposta settimanalmente da La Repubblica e da L’Espresso.
Sergio Bonelli assume giovanissimo la direzione della casa editrice di famiglia nel 1957: ha 25 anni. L’anno seguente comincia anche la sua attività di sceneggiatore. Sì, Bonelli non è stato solo l’avveduto e lungimirante editore del fumetto d’avventura popolare italiano, ma a sua volta un brillante autore di testi e ideatore di personaggi: forse per non creare confusione con il padre decide di firmare tutti i suoi soggetti e sceneggiature con lo pseudonimo kafkiano di Guido Nolitta.
Le due creature più note di Nolitta/Bonelli sono Zagor (1961), lo Spirito con la Scure realizzato graficamente da Gallieno Ferri e tutt’oggi portato avanti dalla casa editrice, e Mister No (1975), sempre tratteggiato da Ferri – ma la cui fisionomia definitiva è opera di Roberto Diso – il cui omonimo mensile, divenuto poi semestrale, ha però chiuso i battenti nel 2009. In questo Bonelli si è dimostrato un vero editore di spirito che non esita ad abbattere la sua scure anche sulle teste delle sue stesse amate creature, una volta accortosi che non rendevano più. Mister No è infatti stato senza dubbio il vero alter ego di Bonelli – il secondo dopo Nolitta – un eroe di grande spessore in cui l’autore ha riversato una grande attenzione a tematiche a lui care, pacifiste e relative alla difesa dei più deboli, oltre alla sua stessa grande passione per gli scenari del Sud America visitati in prima persona in più di un’occasione. Senza dubbio, quindi, quella di chiudere Mister No è stata per Bonelli una decisione difficile da prendere, ma il lato pratico dell’editore ha dovuto prevalere sull’autorialità dello sceneggiatore.
Concretezza, ambizione e fiducia nel proprio staff di autori (sceneggiatori e disegnatori) ha fatto sì che il fumetto d’avventura italiano – da sempre incarnato dai Bonelli – evolvesse e stesse al passo con i tempi. Già con Zagor e Mister No Bonelli Jr. ha mostrato la sua insofferenza per la stasi, il suo desiderio di guardare oltre, sempre avanti. Di rilanciare. I due eroi nolittiani si collocano infatti a perfezione nella tradizione paterna, ma con qualcosa di diverso. Qualcosa che farà da apripista ai personaggi bonelliani che popoleranno le edicole negli anni ’80, ’90 e 2000.
Andiamo con ordine. Zagor è un personaggio che senza dubbio nasce in un contesto western, e dal mondo di Tex trae ispirazione. Se, quindi, Sergio Bonelli è figlio biologico di Gian Luigi, Zagor, Spirito con la Scure, è in qualche modo figlio letterario di Aquila della Notte (con questo soprannome è anche conosciuto il buon Willer): cosa nemmeno troppo assurda se si pensa che soltanto tredici anni separano la creazione di un personaggio da quella dell’altro. Come però Sergio Bonelli trasforma la casa editrice del padre una volta prese in mano le redini (e dall’editore di Tex non ci si sarebbe aspettato nulla di diverso), così il western di Zagor è profondamente diverso da quello di Willer. Vediamo come. Intanto – ma questo, va detto, succedeva e avviene anche in Tex, sebbene in Zagor la tendenza subisca un’accelerata – le trame dello Spirito con la Scure risentono spesso dell’influenza di generi quali horror, thriller e fantascienza. Rimasto orfano dei genitori uccisi da un gruppo di indiani guidati da un rinnegato bianco, Zagor decide di divenire un giustiziere. Questi elementi, uniti alla teatralità delle sue apparizioni volte a farsi credere una creatura soprannaturale, rimandano un po’ a Batman, creato da Bob Kane 22 anni prima. Il simbolo nero su sfondo giallo rimanda ancora agli eroi in costume statunitensi, quasi Zagor ne fosse antesignano, vivendo le sue avventure agli inizi dell’Ottocento. Il braccio destro di Zagor – Don Felipe Cayetano Lopez y Martinez y Gonzales, detto Cico – contrassegna lo stile di scrittura di Nolitta, le cui trame sono alleggerite dalla presenza di un personaggio così scanzonato, elemento che sarà ripreso dai primi due diretti “eredi” della scrittura bonelliana: Alfredo Castelli (con Java, spalla di Martin Mystère) e Tiziano Sclavi (con Groucho, assistente di Dylan Dog).
Mister No, che debutta quattordici anni dopo Zagor, si discosta dal western – le sue avventure sono ambientate nel secondo dopoguerra – ma mantiene la caratteristica bonelliana dell’eroe solitario e tutto d’un pezzo, anche se romantico e a tratti contraddittorio. Così soprannominato dai commilitoni per il rifiuto dell’autorità e della disciplina, stanco degli orrori della guerra contro i giapponesi, Mister No – che in realtà è il pilota statunitense Jerry Drake – si rifugia in Brasile dove si guadagna da vivere portando i turisti in giro per la foresta amazzonica su uno scassatissimo Piper. Anche le avventure di Mister No sono contaminate da vari generi, su cui si affacciano il mistero, la magia e la fantarcheologia, percorsi su cui si farà le ossa un autore come Alfredo Castelli, che si alternerà a Sergio Bonelli alle sceneggiature del personaggio per molti anni: non a caso sette anni dopo la nascita di Mister No vedrà la luce Martin Mystère, il Detective dell’Impossibile (1982), il personaggio più celebre creato da Castelli.
Martin Mystère fa da apripista a una serie di altri personaggi di successo ideati dagli autori di punta che Bonelli coltiva all’interno della casa editrice. Nel 1986 esordisce Dylan Dog, l’Indagatore dell’Incubo, protagonista di un’arcinota serie horror dalla penna di Tiziano Sclavi e dalla matita di Angelo Stano: a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90 il personaggio, da protagonista di un boom editoriale che da tempo il fumetto non vedeva, diviene vero e proprio fenomeno di costume. Nel 1991 è la volta di Nathan Never, serie fantascientifica con tre padri sardi: Antonio Serra, Michele Medda e Bepi Vigna per i testi, mentre la parte grafica è affidata a Claudio Castellini.
Martin Mystère, Dylan Dog e Nathan Never sono sufficienti per comprendere la virata che Sergio Bonelli decide di imprimere alla politica della sua casa editrice a partire da un certo punto in avanti. Accanto ai tre eroi “classici”, Tex, Zagor e Mister No, appartenenti alla tradizione della famiglia Bonelli, si affiancheranno via via nuovi protagonisti che renderanno vastissimo il parco personaggi e testate dell’editore. L’importanza di Sergio Bonelli come editore sta proprio qui, in questo nodo nevralgico: ha trasformato la percezione del fumetto avventuroso e popolare. Da western a un’infinità di altri generi. O meglio, non soltanto western. Non più. Tale caratteristica è comprensibile non solo visionando il suo operato come editore: la filosofia editoriale ha marciato di pari passo con la capacità – enorme – autoriale di Bonelli scrittore, vale a dire di Nolitta. Zagor e Mister No si allontanano piano piano dal west di Tex, pur non discostandosene mai totalmente; stessa cosa avviene per la politica della casa editrice, che continua giustamente a portare Willer su un palmo di mano, pur tentando mille coraggiose strade.
La nostra analisi ci conduce qui a un nuovo anello del ragionamento a catena: Sergio Bonelli è stato l’ultimo – o comunque uno degli ultimi – vero, grande Editore (la E maiuscola non è casuale) degno di questo nome. Non solo in ambito fumettistico: in generale. Un editore è un editore, qualunque sia il mezzo di comunicazione con cui si confronti. Che cosa rende un editore degno della sua stessa qualifica professionale? La capacità di individuare persone di talento tra i propri collaboratori, l’attitudine e la volontà di investire su essi e sulle loro idee, la risolutezza e il rischio nello scommettere denaro, magari anche impegnandolo in progetti dall’incerto valore commerciale, ma dall’indubbio significato artistico, cosa che Bonelli fece con il Ken Parker di Berardi & Milazzo, per esempio. Ancora: la lungimiranza nel precorrere i gusti del pubblico in tema di generi e formati narrativi, dove per formato s’intende, per esempio, l’introduzione della miniserie, ovvero una storia narrata in un numero predefinito di albi e non in un numero infinito, come da tradizione per Bonelli. Quella della miniserie non è un’intuizione bonelliana tout-court, naturalmente esisteva già da prima, ma ha rappresentato nel mercato italiano – e nel fumetto delle grandi tirature come quello Bonelli – una novità assoluta che, ancora una volta, si è rivelata vincente. In tempi recenti di crisi dell’editoria, Bonelli aveva capito che per il pubblico sarebbe stato più facile sapere di dover acquistare le avventure di un personaggio solo per 18 mesi (e 18 numeri) e basta, piuttosto che impegnarsi in una serialità potenzialmente infinita da cui magari dopo un po’ l’affezione sarebbe calata.
La cura che Bonelli dedicava ai suoi autori, oltre che alle sue pubblicazioni – fino all’ultimo ha letto ogni pagina di tutte le sceneggiature consegnate – era poi proverbiale. Sebbene si tratti di collaboratori esterni, della cui debolezza contrattuale altre case editrici approfittano largamente, e non di dipendenti, Bonelli è sempre stato consapevole che il suo vero tesoro era rappresentato dagli sceneggiatori e dai disegnatori della sua scuderia. Per i suoi autori era noto che Sergio Bonelli non lesinasse niente, né si tirasse indietro davanti a richieste di aiuto da parte di scrittori o illustratori in difficoltà economiche. Era uno dei pochi, nell’editoria a fumetti, a pagare i diritti d’autore ai suoi collaboratori: invitato a uno dei meeting aziendali di un’importante casa editrice italiana leader nel settore dei fumetti per ragazzi, spiegò davanti a tutti questa sua peculiarità. Non fu mai più ospitato ad altri incontri organizzati dalla filiale italiana della celebre multinazionale, che ristampa in tutto il mondo le storie realizzate da autori dello Stivale senza riconoscere loro un Euro.
Per tutti gli autori, i dipendenti e gli operatori del settore che lo hanno conosciuto, dal più anziano all’ultimo arrivato, Sergio Bonelli è stato come un padre. Lo è stato anche per i lettori, la stragrande maggioranza dei quali non lo ha mai conosciuto di persona, ma ha soltanto letto ogni mese il suo nome sugli albi in edicola o in calce ai suoi editoriali, dal tono felice quando introduceva un nuovo personaggio, rammaricato quando comunicava un aumento dei prezzi.
Sergio Bonelli è stato il gentiluomo del fumetto. L’ultimo, vero, signore dell’editoria in Italia. Un editore vecchio stampo, dove la parola “vecchio” è sinonimo di un modo di lavorare d’altri tempi che purtroppo, nel tetro periodo dell’editoria a pagamento, non esiste più o comunque si è inesorabilmente rarefatto. La sua scomparsa lascia un vuoto che sarà difficile colmare e un’eredità che, se raccolta nel modo giusto, rappresenterà in ogni caso una sfida per chiunque abbia deciso di assumersene onori e oneri.
Prefazione alla prima edizione
di Sergio Bonelli
Quell’eterno movimento
Perché un altro libro sulla sceneggiatura? La domanda mi è sorta spontanea e si è fatta sempre più convinta (e perfino un po’ spazientita), buttando un’occhiata alla libreria che si trova proprio alle mie spalle. Da parecchi anni a questa parte, infatti, non si contano i «fumettari» – qualcuno noto, qualche altro un po’ meno – che hanno ceduto alla tentazione di spiegare «come si fa». Come si fa a scrivere il soggetto e la sceneggiatura di un fumetto, voglio dire. E io, quei «manuali», li avevo divorati proprio tutti con totale attenzione, trovandomi spesso di fronte ad acute osservazioni che non sarei mai stato in grado di esprimere, pur avendo scritto nella mia vita di soggettista improvvisato qualcosa come trentacinquemila pagine di Tex, Zagor e Mister No. Non vedevo, però, quali altri consigli si potessero suggerire, che i pochi aspiranti professionisti non avessero già letto precedentemente.
Per fortuna, il sottotitolo simpaticamente ironico e la comparsa della mia stessa domanda postasi dall’autore di questo volume e apparsa nelle primissime righe dell’Introduzione mi hanno incoraggiato a iniziare una lettura che ho poi proseguito, come suol dirsi, tutto d’un fiato, sebbene con qualche preoccupazione suscitata dalla scoperta che uno dei due editori indicati come possibili interlocutori degli aspiranti autori ero proprio io.
Mi appresto, quindi, ad affrontare una folla di soggettisti scatenati dai suggerimenti di Sergio Badino che ha, curiosamente, fatto ricorso a tutti gli stessi argomenti che, all’occasione, avrei estratto anch’io dal mio abituale bagaglio di esperienze professionali.
L’immagine dello scrittore paragonato a una sorta di squalo in eterno movimento a caccia di un’idea mi è parsa talmente azzeccata da indurmi a ricordare i tempi in cui anch’io «non staccavo mai» e cercavo la soluzione di una sequenza in ogni momento della mia giornata.
A pranzo oppure in taxi, dal dentista oppure giocando a tennis, il mio pensiero rimbalzava inarrestabile da una soluzione all’altra e, di notte, mi alzavo di soprassalto per consultare qualche libro o per visionare per la millesima volta le mie videocassette preferite. E quando, immancabilmente, qualcuno, curioso, mi chiedeva come facessi a farmi venire «tutte quelle idee», allargavo le braccia in un gesto significativo e, con l’aria più indifferente di questo mondo, mi lasciavo sfuggire una risposta bugiarda: «Le idee? Mah, non so… mi vengono da sole!».
S.B.
Milano, luglio 2007
(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)
E’ da quando ero bambino che leggo Tex Willer. Fin da quando il fumetto era composto in striscioline rettangolari.
Per questa ragione mi scandalizzo e mi arrabbbio quando vedo un fumetto che continua a chiamarsi Tex Willer ma che in realtà non c’entra niente con l’originale! Storie insulse, staccate negli eventi, senza i tradizionali particolari come i due ultimi numeri 623/4 o disegnate in modo osceno come il 621/2. Guardate per esempio i numeri 458 e 459. Non vedete un abisso fra questi e gli attuali?
Leggete quelle storie. Guardate i disegni! Questi ultimi invece sembrano fatti da persone che devono solo riempire il loro tempo libero. Sono un insulto a Tex e a Bonelli!
Tex richiede un impegno e una capacità di dettagli e legami non indifferenti!
Mi dispiace enormemente scrivere questa email ma Tex, con Carson, sono sempre stati una parte di me e vedere questo scempio… mi fa male. Molto male. Mi auguro che possiate leggermi in modo costruttivo.
Dario Mercalli.