Intervista esclusiva: LUIGI (GIGI) SIMEONI

Intervista condotta da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli per la formulazione delle domande, di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e di Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni e di Bira Dantas per la caricatura.

Ciao carissimo Gigi Simeoni, e benvenuto sul blog portoghese di Tex! Per cominciare, quali fumetti leggevi da bambino?
Gigi Simeoni: Già a quattro anni disegnavo già almeno due ore al giorno, cercando di riprodurre i personaggi dei fumetti che (fino ai sei anni, cioè finché non ho imparato a leggere) guardavo con molta attenzione. Jacovitti, Topolino, Provolino… tutto ciò che era fumetto mi interessava. Crescendo, ho scoperto man mano anche Alan Ford, le Sturmtruppen, Cattivik, e via via verso l’adolescenza quando mi sono avvicinato ai grandi autori e alle testate che li diffondevano, da L’Eternauta a Totem, da Torpedo a Corto Maltese, da Pilot a Métal Hurlant e Frigidaire…

Da ragazzino immaginavi che da grande avresti fatto il disegnatore professionista?
Gigi Simeoni: Sì, assolutamente. Non ho mai avuto dubbi, su questo. Ero anche molto attratto dal cinema, dal “dietro le quinte” della lavorazione di un film, ma alla fine ha prevalso il fumetto. Anche se non ho accantonato del tutto l’idea di mettermi a scrivere per il cinema, un giorno.

Nella tua attività di disegnatore, quali consideri, se vi sono, come tuoi maestri? Hai disegnatori che stimi particolarmente? In caso positivo, quali e perché?
Gigi Simeoni: Beh, credo si veda abbastanza nel mio stile l’influenza di Magnus. La sua precisione e la capacità di unire il grottesco al realistico mi ha stregato subito. Ma mi sono lasciato ammaliare anche da Giorgio Cavazzano, che sa trasporre il realismo dei dettagli nella caricaturalità, Milo Manara per il modo di disegnare il corpo femminile e di trattare l’erotismo, Pratt per la sintesi quasi impressionista con cui realizzava le sue tavole, Andrea Pazienza per l’inventiva straordinaria e la furia del segno, Bernet per la sua autoconsapevolezza di superiorità in qualsiasi cosa disegnasse… il mio Olimpo è molto ricco e variegato.

Ben presto entri a far parte di un gruppo di ragazzi di talento, affidati a Rubén Sosa. Come sei entrato in questo gruppo? Conoscevi alcuni di loro?
Gigi Simeoni: Prima di accedere al Corso di Rubén Sosa, non conoscevo nessuno di loro. In quelle aule ho fatto subito amicizia con Majo, Giancarlo Olivares e Massimo Bonera. Quest’ultimo, è l’unico dei tre che non si dedicò poi al fumetto se non come lettore assiduo. Seguì un’altra strada… e un’altra passione… e oggi è uno dei più attivi e prolifici produttori di porno! Giancarlo Olivares a sua volta conosceva qualche altro appassionato, che poco alla volta avvicinò al trio: Stefano Vietti (che faceva il rappresentante di canne da pesca), Davide Longoni (redigeva una fanzine, “La Zona Morta”). Qualcuno poi si perse o si dedicò ad altro (come Bonera), e altri arrivarono (Andrea Mutti, Marco Febbrari, Fabio Pezzi e Riccardo Borsoni). Oggi il gruppo creativo è ancora attivo, siamo in cinque e tutti professionisti. Io, Majo, Olivares e Vietti lavoriamo per la Bonelli, e alcuni pubblicano anche con editori francesi. Mutti lavora per i francesi e gli americani, Borsoni dirige la Scuola Internazionale di Comics di Brescia. Febbrari ci segue da vicino e scrive, al momento, per diletto pubblicando di tanto in tanto, e Fabio Pezzi disegna per il mercato francese. Tutti molto indaffarati!

Parlaci un po’ della serie nata dalla collaborazione di questo gruppo di autori.
Gigi Simeoni: Il primo progetto era “Fullmoon Project”. In due parole: due agenti FBI facenti parte di uno specifico ufficio “segreto” (il Paranormal American Center) indagavano su presunti fatti soprannaturali. Eravamo nel 1991, e quest’avventura editoriale era destinata a durare poco (sette albi) perché l’editore non era una persona molto seria e fallì, tirandosi dietro una montagna di debiti e anche le nostre settecento tavole originali. Fossimo stati in mano a una persona più professionale e fossimo anche stati negli USA, forse avremmo avuto il successo che ebbe nel 1994 Chris Carter con “X-Files”, dato che l’idea era praticamente identica.

La collaborazione con la Star Comics e la Universo ti ha portato ad intraprendere altre strade artistiche: pensiamo alla serie “Hammer” (Star Comics).
Gigi Simeoni: Chiuso “Fullmoon Project”, non restammo molto tempo con le mani in mano: ci eravamo fatti notare subito. Il fumetto che facevamo era paragonato agli albi della Bonelli, e per un gruppo di ragazzini questa era in assoluto la massima onorificenza. La Star Comics aveva in produzione “Lazarus Ledd”, e Olivares aveva tenuto rapporti con Ade Capone, collaborando di tanto in tanto con lui per altri piccoli progetti. Così, Ade (che ci seguiva attentamente) prese la palla al balzo e ci introdusse alla spicciolata nella sua testata. Collaborammo per un solo anno, su “Lazarus Ledd”, perché l’editore Giovanni Bovini stava già pensando di sfruttare la innata capacità creativa e organizzativa della “gang dei bresciani” (come venivamo definiti dai lettori) per affidarci l’ideazione di una testata di fantascienza nuova di zecca. Così nacque “Hammer”. Da allora sono passati vent’anni… e ormai possiamo dire che è arrivata l’ora di ripubblicarlo, per fargli gli auguri di buon compleanno!

La serie sopracitata, infatti, è stata il trampolino di lancio per entrare, con altri tuoi bravi colleghi, in Bonelli. Siete stati contattati oppure vi siete fatti avanti voi?
Gigi Simeoni: Ci facemmo avanti noi. Sergio Bonelli, come ci dissero solo in seguito, ci teneva d’occhio e leggeva le nostre storie. E sapeva che eravamo bravi e determinati. Però, nel suo stile irreprensibile, non voleva fare il gesto di offrire un appiglio a autori che erano ancora sotto contratto con altri editori. Così lasciò che fossimo noi a presentarci a lui, dopo la chiusura di “Hammer”.

Che ricordo hai di  Sergio Bonelli?
Gigi Simeoni: Non voglio essere retorico, né apparire scontato. Di Sergio mi piaceva quel sorrisino complice che tirava fuori scoccando un’occhiata d’intesa quando era d’accordo con te e voleva dimostrarti affetto e appoggio. A parole ti raccomandava sempre di essere attento alle “metriche” bonelliane, perché era il suo ruolo e doveva ribadirlo. Ma sotto sotto, è stato fino alla fine un ragazzo ribelle, e che della ribellione e del sovvertimento delle regole aveva mantenuto il rispetto e l’ammirazione. Gli piacque molto, “Gli occhi e il buio”, il mio primo romanzo a fumetti. Tanto che in redazione, un giorno, mi si avvicinò e quasi sottovoce (erano presenti solo Decio Canzio e Mauro Marcheselli) mi disse: “Bravo. Mh. Mh. Guarda che dico davvero, eh? Io ormai mi porto a casa da leggere poche cose, perché sono un po’ stanco e mi affatico. Ma il tuo romanzo l’ho voluto tenere per domenica pomeriggio, apposta, per leggerlo tutto assieme. E devo dire che erano anni che non restavo così attaccato a leggere per tre ore filate un fumetto. Questo, per dirti, che hai fatto proprio un bellissimo lavoro”. Per me, era come ricevere una specie di Coppa dei Campioni, insomma!

L’approccio a Nathan Never ti ha spinto probabilmente a modificare il tuo stile: puoi raccontare in breve la genesi della tua evoluzione artistica?
Gigi Simeoni: In effetti, io avevo esordito con personaggi miei, grotteschi e caricaturali. Ma avevo studiato al liceo artistico, e quindi sapevo gestire anche un’impostazione “accademica” realistica. Il primo tentativo è stato, come detto, “Fullmoon Project”, poi “Hammer” e poi “Lazarus Ledd”. Man mano, nell’arco di circa trecento tavole, ho affinato il lato realistico. Quando sono approdato a Nathan Never mi veniva abbastanza facile, anche se in fondo quando mi capitavano personaggi sui quali era permesso essere un po’ più “accesi” sull’espressività, mi divertivo parecchio. Come Sigmund Baginov, ad esempio. Da allora il mio stile è cambiato poco. Sono diventato un po’ più preciso e pretendo da me stesso un po’ di più. Ora, mi piacerebbe poco alla volta andare verso una sintesi d’impatto, e recuperare un po’ di quel grottesco che mi piace tanto. Jordi Bernet e Magnus sono un punto di riferimento, riguardo a questo.

Nel 2002 viene pubblicato il primo Maxi Gregory Hunter: ci ha colpito l’ironia, il divertimento ma anche le riflessioni intelligenti che hai inserito nel volume. Tra l’altro, la narrazione era ben diversa dallo stile rétro voluto dal creatore del personaggio Antonio Serra. Come ha accolto il Nostro questa tua scelta?
Gigi Simeoni: Con grande soddisfazione ma anche con un po’ di amarezza, perché era il “canto del cigno” della serie. Antonio, quando lesse per la prima volta la storia e io arrivai in redazione, mi abbracciò e disse: “Ho letto. E ti abbraccio. E’ il Gregory Hunter che avrei dovuto scrivere io”. Sapevo che il mio Nathan non gli piaceva molto, lo considerava troppo realistico per i suoi gusti ma lo lasciava passare per il fatto che il pubblico pareva apprezzare. Quindi ero rimasto sorpreso da questa sua esternazione. Ma mi ha fatto molto piacere.

Alcuni anni dopo (2007), sempre come autore completo, esce “Gli occhi e il buio” (secondo volume della collana Romanzi a Fumetti Bonelli), racconto il cui ricordo è rimasto ben impresso nel pubblico: quanta energia, quanta attenzione, quanto entusiasmo servono per scrivere un’opera così complessa?
Gigi Simeoni: Molta energia, molta determinazione, molta forza d’animo per non perdersi negli “effetti di superficie”, ma scendere a fondo e riuscire a rendere “fumettabile” ciò che in genere è difficile da “fumettare”: la psiche, i risvolti filosofici, la psicopatologia, l’ossessione. Senza entusiasmo, non avrei avuto benzina per avviare il motore. Io sono un entusiasta di nascita. Come Obelix, sono caduto nel pentolone della super-pozione, e nel mio caso era un pentolone di super-entusiasmo!

Con “Stria”, altro tuo drammatico capolavoro, ti confronti con temi inquietanti come l’infanzia negata da traumi nascosti nel profondo. Qual è la reazione dello scrittore (e disegnatore) quando racconta storie tanto tristi?
Gigi Simeoni: Ho sofferto molto. Entrare nei personaggi, così teneri e ingenui, mi ha costretto a piegarmi su me stesso proprio come se dovessi entrare fisicamente in qualcosa di molto piccolo e fragile. Ho avuto (non scherzo) un mal di schiena che mi ha afflitto per un anno, a causa della tensione accumulata nella scrittura del romanzo. Ma buona parte del mal di schiena era arrivato già durante la lavorazione de “Gli occhi e il buio”, e con “Stria” gli ho dato il colpo di grazia. Il tema comune tra i due romanzi è “la dualità dell’animo umano”. Ying e Yang, bianco e nero, giorno e notte, Bene e Male. Sempre quello. Ma dobbiamo farci i conti davvero, perché siamo schiacciati sempre e comunque tra i due opposti, e quella schiuma che scaturisce dallo sfregamento è la nostra vita.

Nel 2007 ti sei confrontato con Volto Nascosto: raccontaci qualcosa di questa esperienza.
Gigi Simeoni: Dopo “Gli occhi e il buio”, come ho detto, ero molto stanco. Avrei voluto dedicarmi a qualcosa di più leggero, una storia da Almanacco della Fantascienza, più BANG BANG e meno strizzacervelli, insomma. Invece, Manfredi mi richiese per illustrare un episodio di “Volto Nascosto”, e Queirolo mi chiamò. Non ero contentissimo di essere di nuovo chiamato a disegnare scene in costume storico, inoltre non era una mia sceneggiatura e faticavo a vedermi tornare a lavorare su cose ideate da un altro autore. Così, iniziai un po’ di malavoglia. Poi, Queirolo mi “tirò le orecchie”, dicendomi che capiva che fossi stanco ma che Volto Nascosto meritava tutta la mia bravura, non meno di ciò che realizzavo per me stesso. Aveva ragione, naturalmente, e mi misi di lena: il risultato fu davvero soddisfacente per tutti. Tanto che poi la Libellus (editore croato che pubblicò in grandi volumi cartonati tutta la miniserie) volle far disegnare a me le copertine. Una bella esperienza, e la realizzazione di certi passaggi (complice il fatto di lavorare sui testi di un grande autore come Manfredi) me la ricordo proprio per il piacere che provavo nel disegnarne le tavole. Su tutti, i momenti onirici (l’incontro tra Volto Nascosto e Ugo, o il sogno-ricordo di Matilde bambina).

Passiamo adesso al Ranger che dà nome a questo blog: vuoi raccontarci com’è avvenuto il tuo arruolamento nello staff dei disegnatori di Tex?
Gigi Simeoni: Nel modo più semplice: Mauro Boselli mi ha incrociato in redazione, mi ha agganciato e mi ha detto senza preamboli: “Ah, Gigi. Tu sai che devi farmi una storia breve di Tex, vero?”. Ovviamente, non se n’era mai parlato. Ma questo è il modo di fare di Boselli. Intendeva dire che aveva lì per lì deciso di inserire una storia di Sime nel Tex Color, e siccome ero lì a portata di voce… tac! E per me è stata, dopo l’arruolamento a tempo pieno per Dylan Dog, l’ennesima grande soddisfazione. “Chi lo disegnerà”? ho chiesto a Boselli. E lui: “Se non ce la fai lo daremo a qualcuno. Però, se ce la fai, è meglio se te lo disegni da te”. Ovviamente. Ed eccomi qui, pronto a iniziare! Non vedo l’ora.

Come ti senti a misurarti con il Ranger?
Gigi Simeoni: Ho un po’ di timore, ma è una sfida. Non “Sfida all’OK Corral” ma una sfida all'”OK, il Bos”, che sarebbe a dire il via libera di Boselli una volta sistemati gli eventuali errori.

Nel disegnare Tex che tipo di difficoltà hai incontrato, se ne hai incontrate?
Gigi Simeoni: Non ho ancora iniziato. Ma immagino che disegnare i cavalli sarà dura, per uno che viene dallo spazio e dai mostriciattoli, come me… ma il mio lavoro è anche quello di imparare. E poi, il volto di Tex finirà per essere probabilmente un sandwich alto due dita, a furia di correzioni e pecette. Il Bos è piuttosto pignolo, su questo. Una pecetta alta due dita e una montagna di bianchetto!

Hai dovuto modificare il tuo solito stile, oppure no?
Gigi Simeoni: Non più di tanto, sul Color siamo un po’ più liberi. Ma non troppo.

Come definisci graficamente il “tuo” Tex?
Gigi Simeoni: Magnusiano, con misura.

Hai preso dei modelli di riferimento particolari?
Gigi Simeoni: Appunto: Magnus. Ma cercherò di dargli una dinamicità più vicina a Villa o addirittura a Bernet. Se ci riesco.

Cosa ci puoi dire della storia di Tex alla quale stai lavorando?
Gigi Simeoni: Che mi sono ripromesso di non far sparare a Tex nemmeno un colpo. A quello, pensano già gli altri autori. Ma gli farò fare evoluzioni che nemmeno Indiana Jones!

Negli ultimi tempi diversi disegnatori hanno fatto solo una veloce comparsata su Tex e poi sono tornati a lavorare su altri personaggi. Quello su Tex è per te un impegno duraturo, almeno nelle tue intenzioni?
Gigi Simeoni: No. Sono stato chiamato da Tiziano Sclavi per dare manforte su Dylan Dog, e lì produco le mie storie e scrivo anche per altri disegnatori. Poi c’è la collana “Le Storie” che mi offre l’opportunità di pubblicare anche altri personaggi, altri generi. Ma se un giorno Bos dovesse propormi di presentare un soggetto per la serie regolare, non vedo perché non provarci. Vedremo, abbiamo tutti ancora un sacco di tempo e di lavoro da sbrigare!

Chi o cosa è Tex secondo te? Cosa ti piace di più nel Ranger e cosa di meno?
Gigi Simeoni: A sei-sette anni… un ricordo nitido, cristallino. Ero in spiaggia, a Miramare, sotto l’ombrellone. Avevo scovato una trentina di albi di Tex in un garage, a casa di mia zia. Ne tenevo un pacchetto sotto la testa, come cuscino, e leggevo via via gli altri. Quelli letti, finivano in fondo al cuscino, e quello in cima passava alla lettura. Un meccanismo voracissimo che verteva in contemporanea alla soddisfazione del relax, della cultura e della postura. Che vuoi di più? Tex è la certezza che il Bene trionferà sempre. E’ ciò che va al suo posto, nei tempi giusti, nel modo giusto. Tex è il buono che vince, la luce che trapassa le tenebre. In quanto a “certezza del lato positivo” lo sento poco verosimile (io, come dicevo sopra, sono attratto dall’aspetto abissale dell’animo umano) e credo che a volte sia in contrasto con ciò che la vita della frontiera americana doveva davvero essere, e come la vita trasformava le persone. Insomma, un Tex più realistico e che mostrasse ogni tanto un lato non dico debole, ma perlomeno umano (Un dubbio? Un errore? Un’incertezza?) me lo renderebbe ancora più simpatico. Però leggere un albo di Tex al giorno potrebbe davvero levare il medico di torno, e in questo è il personaggio perfetto.

Per concludere il tema, come vedi il futuro del Ranger?
Gigi Simeoni: Legato al trascorrere del tempo. Tex E’ i suoi lettori, che crescono e invecchiano. Se in redazione sapranno come renderlo capace di galleggiare sopra le generazioni, aggiornandolo senza stravolgerlo, sopravvivrà. Le carte in regola per essere un’icona le ha tutte. E spero che ciò possa essere aiutato da qualche produttore che decida di creare un film, più film, o una serie TV fatta come Dio comanda su Tex. Se la serie avesse successo, aiuterebbe il fumetto a mantenere a lungo la sua diffusione attuale. Manca forse un po’ di investimento da parte della SBE sul personaggio inteso come fenomeno pop, lasciando che per ora si soddisfi autonomamente solo come “pubblicazione”. Durerà a lungo, ma come quando si parla dei giacimenti di petrolio… prima o poi si esauriranno, e per allora avremo dovuto trovare il modo di muovere le nostre auto in altro modo. Ecco, spero che da vecchio io possa trovare Tex non solo nei miei vecchi fumetti, ma anche su altri supporti che in futuro saranno di moda.

Cosa è per te il fumetto, sia come linguaggio che come esperienza professionale?
Gigi Simeoni: E’ arte. Anzi, Arte. Arte multipla applicata: pittura-grafica-poesia-teatro-narrazione. E’ l’insieme dei migliori fotogrammi tratti da una pellicola, quindi il meglio che un film possa dare. E’ una sfida continua, che deve resistere all’avanzare delle tecnologie e della frenesia dei lettori, sempre più voraci. Il fumetto è un grande spettacolo di illusionismo: guarda, qui c’è una pagina bianca… e ora ti farò vedere un deserto assolato sotto un cielo blu… Sì, il disegno è in bianco e nero, ma sarà il cielo più blu che tu abbia mai visto… magia!

Cosa troviamo al tuo tavolo da lavoro?
Gigi Simeoni: Di tutto. Un tempo ero ordinato, e ogni cosa aveva una postazione prefissata. Adesso ho gettato la spugna. Tra l’altro, l’ho gettata sul tavolo e non la trovo più… In questo preciso istante, oltre al PC, ho una tavola di Dylan Dog da finire di ripassare a china. Tavola 43 della mia prima storia per la serie regolare dell’Indagatore dell’Incubo. Sono curioso di vedere come il pubblico la accoglierà.

Quanto tempo impieghi per disegnare una tavola? Hai degli orari? Come si articola una tua giornata tipo fra lavoro, letture, tenerti informato, ozio, vita familiare?
Gigi Simeoni: In media, una giornata di lavoro per fare una tavola. Inizio alle nove e finisco alle 19, grosso modo. Con pausa ampia per pranzare con la famiglia. La mia giornata tipo verte soprattutto a 1) Produrre tavola; 2) Seguire figli; 3) Curare animali; 4) Approfondimenti (vale a dire cinema, teatro, lettura, tv, ecc…). In linea di massima, riesco a fare un po’ tutto nei tempi previsti. Ora ho intenzione di dedicarmi un po’ di più al movimento, allo sport (senza esagerare) e forse mi comprerò una moto per gironzolare un po’.

Puoi esporci la tua tecnica di lavoro?
Gigi Simeoni: Matite quasi definitive, da subito, e poi china. Non faccio bozzetti, quasi mai. Poi, gran lavoro di correzione (sono uno che si pente facilmente). Uso pennello e china, e pennarelli.

Ascolti musica quando disegni? E quale?
Gigi Simeoni: Se disegno ascolto la radio, in genere. Roba leggera. Altrimenti, se scrivo, musica classica, o colonne sonore.

Quali sono i tuoi progetti immediati? Puoi anticiparci qualcosa?
Gigi Simeoni: Procedere spedito con Dylan Dog e chiudere questa storia. Poi ne ho un’altra da finire, scritta da Giovanni Di Gregorio. Ma prima di quella, farò il mio Tex. E poi ho un western in cantiere per “Le Storie”, e se non troverò un disegnatore adatto per realizzarla me la disegnerò da solo. Dopo Tex, posso fare TUTTO! 🙂

Bene, noi avremmo finito. C’è ancora qualcosa che vorresti dire? Qualcosa che non ti è stato chiesto e che avresti assolutamente voluto far sapere ai nostri lettori?
Gigi Simeoni: Io raccomando sempre a tutti i ragazzi che vogliono intraprendere questa strada, di non scoraggiarsi ai primi “no”. Io ne ho ricevuti a carrettate. Uno di questi “no”, me lo disse l’allora direttore della Walt Disney Italia, Gian Battista Carpi. Era il 1988. Quel giorno, senza aspettare oltre, andai a trovare Guido Silvestri (in arte Silver, il creatore di Lupo Alberto) nel suo studio di Via Chiaravalle, a Milano. Vide i miei disegni e, semplicemente, mi disse “Sì”. Da quel giorno, divenni un autore professionista di fumetti. Se invece mi fossi chiuso in un bagno della stazione a piangermi addosso per il “no” di Carpi, oggi le cose potrebbero essere andate ben diversamente.

Caro Gigi, a nome del blog portoghese di Tex ti ringraziamo moltissimo per l’intervista che ci hai così gentilmente concesso.
Gigi Simeoni: Grazie a voi. Hasta luego!

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

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