Tex “Salt River”: Interviste esclusive con gli autori Mauro BOSELLI e Stefano ANDREUCCI

Interviste condotte da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli e Sandro Palmas per la formulazione delle domande , di Bira Dantas per la caricatura e di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni.

MAURO BOSELLI

La storia aveva come titolo di lavorazione Tonto Creek. Il primo albo è intitolato Salt River e ben si adatta alle prime venti tavole, che però sono quelle che hai riscritto per Andreucci. Dal momento che la storia, inizialmente, doveva essere ambientata in una ghost town e non sulle rapide di un fiume, e che al Tonto Creek ci si arriva solo nelle pagine finali del secondo albo, come nasce questo titolo di lavorazione?
Mauro Boselli: Sapevo già che la storia si sarebbe svolta nella regione del Tonto Rim e alla Riserva del Tonto Creek si arriva nella prima metà del primo albo.

Sempre in tema di titolo, come mai si è passati da Tonto Creek ad un meno evocativo Salt River?
Mauro Boselli: Tonto ha per gli italiani una connotazione negativa: vuol dire scemo, tardo di comprendonio.

In questa storia, per opera tua, prosegue l’evoluzione di Kit Willer: probabilmente il personaggio ti permette di inserire quei duetti piccanti uomo/donna che altrimenti difficilmente potresti inserire nella saga. Sbagliamo?
Mauro Boselli: Corretto! Ma lo stesso si potrebbe dire di Kit Carson. Chissà, prima o poi…

Veniamo al rapporto tenero e delicato che si crea intorno alle figure di Kit Willer e Sarah Wyatt. Nel secondo albo, dopo il sogno infranto, fai dire a Tex:”Mmm… mi verrebbe da dire che non hai molta fortuna con le innamorate, ragazzo mio!“. Insomma Kit Willer fa la figura medievalesca del paladino cortese che corre a salvare la dama, ma poi confermi la convenzionale tesi che lo vede puntualmente bastonato non appena si approccia a qualche gonnella. C’è la possibilità che, in futuro, l’esito appaia meno scontato?
Mauro Boselli: Quièn sabe?, come direbbe Tex. Questa è solo UNA storia. Di solito non amo farle simili tra loro.

Jack Curtiss è un fuorilegge abilissimo a organizzare dei complicati piani strategici; nel finale, Tex gli salda il conto. Ti è venuta la tentazione di farlo salvare in modo da metterlo di nuovo sulla pista dei Nostri?
Mauro Boselli: E perché mai? La storia non deve avere una soluzione finale? Perché lasciare in vita a tutti i costi un personaggio non particolarmente originale?

Tra i personaggi la figura di Sarah Wyatt è quella che ha colpito i lettori più aperti: la soluzione finale ti è stata in qualche modo suggerita dalla turbolenza caratteriale della ragazza, oppure l’avevi già pianificato all’inizio?
Mauro Boselli: Di solito non so che cosa c’è IN MEZZO a una storia, ma il finale, tranne qualche raro caso, è già chiaro nella mia mente.

Questa storia sarà ricordata anche per l’insolito alone di violenza che la caratterizza. Nel secondo albo tre personaggi finiscono a penzolare dai rami di un albero e la stessa dottoressa Sarah rischia alla fine di essere impiccata dallo stesso gruppo di improvvisati vigilantes. Una lettura insomma in un certo qual modo dedicata soprattutto ad un pubblico adulto. Per chi scrive non vuole certo essere una critica, tutt’altro, ma alla SBE non temete levate di scudi da parte di qualche associazione?
Mauro Boselli: No. E perché mai? Contesto che questa storia sia più spietata di  altre scritte da me o da Gianluigi e Sergio Bonelli (penso agli impiccati di Caccia all’Uomo e I dominatori della valle).

STEFANO ANDREUCCI

Tornare a disegnare Tex dopo diversi anni ti ha creato delle difficoltà oppure tutto è filato liscio?
Stefano Andreucci: Devo dire che è stato più difficile. Forse perché rispetto alla volta precedente ho usato una tecnica diversa, o forse perché stavolta volevo dare di più. Ho cercato di vedere il West con occhi moderni, senza uscire dai canoni abituali di Tex. Ho usato prospettive un po’ esagerate, piani inclinati e dinamici che non sono soliti sulla serie e questo mi ha un po’ rallentato.

Per l’occasione, dopo tanti anni trascorsi a disegnare i racconti di Dampyr, quali accorgimenti hai adottato?
Stefano Andreucci: Nessun accorgimento particolare. Ho solo pulito un po’ il segno, ma l’atteggiamento è stato lo stesso usato per il Dampyr della quadrupla londinese.

Ti sei trovato a disegnare tutti e quattro i pard: escluso Tex, quale ti ha dato più difficoltà o ti ha più divertito disegnare?
Stefano Andreucci: Ne ho disegnati tre. Ancora mi manca Tiger. Comunque mi sono molto divertito con Kit Willer. Tra i tre era quello che aveva maggior margine interpretativo. Invece è proprio con Tex che mi sono trovato maggiormente in difficoltà. Perlomeno nella fase iniziale. Carson invece è il più simpatico e già molto caratterizzato dai suoi bei baffoni. Divertente.

I tuoi personaggi sono tutti estremamente caratterizzati, penso in particolare al gruppo di ostaggi che sono rilasciati, nel deserto, dalla banda di Curtiss. Oppure alla bellissima dottoressa Wyatt. Per ispirarti a chi o cosa hai guardato?
Stefano Andreucci: In genere mi ispiro al cinema, alle persone che incontro, agli animali, a tutto. Per la dottoressa ho usato il volto di un’attrice di qualche anno fa, indicatami da Mauro. Ma l’ho usata solo per l’ispirazione.

A sfogliare gli albi tutto sembra ben curato. C’è qualcosa che non ti ha lasciato pienamente soddisfatto? E qualcosa di cui invece vai giustamente orgoglioso?
Stefano Andreucci: Si nota troppo la ricerca di uno stile e la sperimentazione. Risulta un lavoro un po’ disomogeneo. Ma credo di essere giunto a qualcosa e nel prossimo Tex mi concentrerò solo sulla storia, per renderla al meglio.

Tra il primo e il secondo albo notiamo un evoluzione stilistica che è stata pienamente promossa anche dagli intenditori più esigenti. In che modo prevedi di affinare il tuo tratto nella prossima storia?
Stefano Andreucci: Appunto! Credo di aver trovato un equilibrio soddisfacente. Nel prossimo albo ci sarà un po’ di sicurezza in più. E questo farà bene alla storia.

Quanto tempo hai impiegato per disegnare questa avventura?
Stefano Andreucci: Troppo.

Quale scena ti ha più impegnato – dal punto di vista tecnico – e quale ti ha invece divertito realizzare?
Stefano Andreucci: Il treno è stato molto difficile da realizzare, anche in considerazione del fatto che una buona parte del secondo albo si svolge proprio sul convoglio. Specialmente gli interni, perché l’ambiente è stretto e l’azione ne risulta soffocata. Un po’ impedita. L’ho disegnato come se fosse uno storyboard cinematografico, pensando di volta in volta a una reale collocazione della cinepresa. La vignetta che mi piace di più è quella dove uno dei banditi e un passeggero del treno, si sparano a pochi passi di distanza all’interno del vagone passeggeri. Uno scontro molto realistico e moderno,  per il quale devo ringraziare Boselli. Quella del treno è stata anche la scena che mi ha dato maggiori soddisfazioni.

Il tuo prossimo lavoro texiano sarà a quanto pare un Texone. In questa tua seconda storia, potendo contare sul tuo talento, Boselli ti ha fatto spaziare dai canyons alle rapide del fiume, agli spazi sterminati della pianura, alle small towns dell’Arizona e per finire, ti sei dovuto confrontare con il treno, in assoluto una delle cose più difficili da disegnare. Ritornando al Texone, hai qualche richiesta in particolare da rivolgere all’autore?
Stefano Andreucci: Ti ringrazio per l’offerta mediatrice, ma queste sono cose che si risolvono… come dire… in casa. Però voglio darti un po’ di soddisfazione. Mi piacerebbe disegnare un western un po’ crepuscolare, collocato in un ambiente selvaggio e ostile!
Ciao.

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

Um comentário

  1. Certo che Andreucci che dice che è stato difficile realizzare certe ambientazioni e poi il risultato è quello che conosciamo…

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