Saudade di cose semplici (con Zagor e Mister No) – L’omaggio di Júlio Schneider

di Júlio Schneider*.

Saudade è una delle parole più belle del portoghese brasiliano e diventa ancora più bella nelle definizioni che le attribuiscono in altre lingue. È “come i brasiliani si riferiscono alla malinconia allegra nel ricordare dei bei momenti vissuti“, dicono gli italiani. E mi sa che hanno ragione loro! Quando si può rivedere oppure rivivere momenti e ritrovare luoghi o persone, noi brasiliani usiamo un’espressione strana e diciamo che ciò ci fa “uccidere la saudade“. Certe date speciali rinforzano la suddetta malinconia allegra, come adesso, quando il calendario ci ricorda che è già passato un anno da che Sergio Bonelli ha finito il suo passaggio temporaneo su questo piano ed è partito prima di noi per ritrovare i cari che sono andati prima di lui. E, per uccidere la saudade, niente di meglio di ricordare qualcuno tra i tanti bei momenti vissuti con questa persona unica.

Saudade dell’uomo-fumetto. E saudade dell’uomo, semplice come uno zio campagnolo. Sono tanti gli aneddoti, non così tanti quanto quelli che a lui stesso piaceva raccontare, ma sufficienti per segnare in me il suo passaggio da queste parti, e ne ricordo due che danno un’idea delle cose semplici che lo facevano felice.

Dell’uomo-fumetto ricordo il 2003, anno in cui Zagor compì 25 anni di pubblicazione in “Terra Brasilis” e l’amico Nilson Farinha mi suggerì di fare un’edizione speciale per segnare la data. Facemmo una bozza del contenuto della rivista, la inviammo alla Casa Editrice via internet – chiedendo al buon Mario Faggella di stamparla e farla vedere al “capo” – e poi, per telefono, la richiesta all’editore: <<Se l’idea ti piace e avrai un ritaglio di tempo per scrivere qualche riga per la rivista, sarebbe ottimo. Fai con comodo, se e quando ti avanzerà un po’ di tempo>>. Tre giorni dopo, soltanto tre, mi consegnarono un pacco espresso Italia-Brasile: un bel testo per la presentazione della rivista – due fogli A4 – e un disegno fatto da Gallieno Ferri con Zagor in uno scenario da cartolina postale di Rio de Janeiro (poi i colori sono stati aggiunti nella redazione brasiliana). Seppi dopo che, appena chiusa la conversazione telefonica, Sergio aveva chiamato Gallieno, gli aveva dato le dritte per l’immagine, aveva preso la buona vecchia macchina per scrivere e nello stesso giorno era già tutto pronto e spedito! Lui, l’uomo al timone di un gigante dell’editoria semplicemente aveva messo da parte tutto soltanto per collaborare con un’edizione che sarebbe uscita nel suo amato Brasile. Impagabile.

Dell’uomo evoco una notte di una decina d’anni fa. Fine della giornata in redazione, tutti se ne vanno e Sergio mi chiede di restare mentre finisce la revisione di un albo. Poi saremmo usciti per cena. Accende la TV per distrarmi, ma tra un Ajax – Inter e una pila di tavole disegnate, io di certo non scelgo la partita! All’uscita, davanti al palazzo della Casa Editrice c’è un macchinone nuovo, ma Sergio va avanti e apre la portiera di un’altra di sosta a fianco, una Panda bianca con i suoi anni, sul cruscotto un adesivo con l’immagine di Mister No (prodotto in Brasile): <<Preferisco questa, mi è più consona!>>. Cinture di sicurezza? <<Non ce n’è bisogno!>>. L’aerazione è garantita da un buco nel pavimento. Avevo preso il Piper di Jerry Drake, ne ero quasi certo (se Sergio l’avesse fatto funzionare con un calcione avrei avuto la prova definitiva). Andiamo verso la periferia di Milano (passando per i Navigli lui mi confida <<Frequentavo quello lì, e poi quello…>>), fino a un ristorantino familiare, simpatico e accogliente, con una proprietaria altrettanto simpatica e che fa festa nel riceverci. Durante la cena Sergio mi racconta che la ragazza che ci aveva accolto era nipote dell’antica proprietaria dell’epoca in cui lui, ragazzoto negli anni ’40, ci andava con la madre oppure da solo, in bicicletta. Chiacchierate del più e del meno e aneddoti divertenti fanno volare il tempo, e per Sergio (e soprattutto per me) la serata diventa davvero memorabile quando la proprietaria si fa avanti, appoggia la mano sulla sua spalla e dice, con sincera ammirazione: <<Dottor Bonelli, che carino sentirla parlare portoghese, suona così musicale!>>. Mai Sergio Bonelli si lasciava incantare da elogi o complimenti, ma quella volta lui rimase davvero felice perché qualcuno si era reso conto che lui sapeva parlare brasileiro. Sento ancora la sua voce roca: <<Sì, mi piace molto parlare la lingua del mio altro Paese!>>. Emozionante.

* con il prezioso contributo dell’altro Sergio (il caro Badino).

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

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