Intervista esclusiva: ROBERTO ZAGHI

Intervista condotta da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli per la formulazione delle domande, di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e di Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni e di Bira Dantas per la caricatura.

Ciao carissimo Roberto Zaghi, e benvenuto sul blog portoghese di Tex! Cominciamo con una piccola presentazione di te stesso.
Roberto Zaghi: Classe 1969, tra un paio d’anni festeggerò il ventennale di carriera come disegnatore di fumetti. In genere mi definiscono una persona tranquilla, amo profondamente il mio lavoro e quando sto al tavolo da disegno sono un uomo felice (quindi praticamente sempre).

Quando è cominciata la tua passione per i fumetti: quali sono state e quali sono le tue letture?
Roberto Zaghi: Le prime letture furono senz’altro i super eroi Marvel, editi in Italia dalla Corno negli anni ‘70, ma anche le avventure militari di Guerra d’eroi e Super Eroica. Poco dopo divenni un divoratore di Alan Ford. Un momento cardine, come per tanti miei coetanei, fu il debutto televisivo dei cartoni animati giapponesi, che mi vedevano stazionare a pancia in giù sul pavimento di fronte al televisore, armato di quaderno a quadretti e Carioca colorati. Solo in seguito mio zio mi regalò una splendida confezione di pennarelli giapponesi con cui feci faville.

Se dovessi ritirarti nella tanto agognata isola ai tropici, quali libri porteresti con te?
Roberto Zaghi: Così su due piedi, e considerando che odio portarmi appresso zaini e borse pesanti, direi “I quarantanove racconti” di Ernest Hemingway, “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani, “Il ciclo della Fondazione” di Isaac Asimov. Aggiungerei un paio di classici russi a scelta, in particolare i Demoni, sperando così di portarne finalmente a termine la lettura.

Inoltre, quali film o telefilm ti sono piaciuti e ti piacciono?
Roberto Zaghi: Continuando il giochetto, porterei con me un film di Spielberg, ad esempio “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, uno dei tempi d’oro di Woody Allen, uno di Hitchcock, “Frankenstein Jr.”, uno qualsiasi di Stanley Kubrick… ma non so se riuscirei ad abbandonare i miei dvd di Fellini, John Ford, Kurosawa, Clint Eastwood, Truffaut… Nell’indecisione credo che la nave per l’isoletta salperebbe senza di me. Fra le serie tv citerei, tra le tante, la saga criminale dei Soprano e le peripezie di Breaking Bad.

Ora abbiamo rotto il ghiaccio: quando hai maturato l’idea di pensare al fumetto come la tua unica professione?
Roberto Zaghi: Il mio percorso di studi era indirizzato verso tutt’altro, ma il caso ci mise lo zampino. Frequentai le lezioni di fumetto di due maestri bonelliani come Germano Bonazzi e Nicola Mari, ora miei carissimi amici. Toccavo con mano i progressi che facevo nel disegno ed ero (e sono tuttora) animato da una grande passione. Inoltre gli anni ’90 furono un periodo di slancio per il mondo del fumetto, con la Bonelli ovviamente protagonista di primissimo piano. Tutte queste cose messe insieme fecero sì che si concretizzasse sul piano professionale quella disposizione al disegno che portavo con me fin dall’infanzia.

Quali sono i disegnatori italiani e stranieri a cui ti sei ispirato nel corso della tua carriera? Ce n’e’ qualcuno più di altri che consideri idealmente il tuo maestro?
Roberto Zaghi: Ho sempre trovato estremamente proficuo lo studio dei disegnatori classici americani che fondarono e perfezionarono lo stile che si potrebbe denominare “linea scura”, che predilige i forti contrasti tra bianco e nero per accentuare la drammaticità e guidare il lettore verso gli elementi chiave della storia. Mi riferisco a Noel Sickles, Milton Caniff, Frank Robbins ed al loro geniale discepolo Alex Toth, che il sottoscritto (ma non solo) considera il più grande di tutti. E tanti altri, dovessi citarli tutti esaurirei le batterie del computer: Ivo Milazzo, Moebius, Bernet, Zaffino, Toppi, Giardino, Garcia Seijas, Garcia Lopez, Goran Parlov…

Sappiamo che hai presentato i tuoi primi lavori ad Antonio Serra: quali sono state le sue impressioni quando ha visto le tue prove?
Roberto Zaghi: Le prime prove che mostrai furono delle tavole di Nathan Never. Ai professionisti del calibro di Serra basta un’occhiata per capire se i disegni vanno bene o no, per cui fu di poche parole, ma credo che ci abbia visto qualche buona promessa.

Dopo quell’incontro, quante altre prove hai realizzato prima di metterti al lavoro su una sceneggiatura?
Roberto Zaghi: Ricevetti le fatidiche sei tavole di sceneggiatura su cui cimentarmi come aspirante “ufficiale” per la Casa Editrice. Purtroppo non ricordo in quale cassetto o scatolone le ho infilate e non le rivedo da allora.

Qual è stata la prima storia che ti hanno affidato?
Roberto Zaghi: Federico Memola stava creando lo staff per lanciare la testata-contenitore Zona X, nata da un’idea di Alfredo Castelli e da una costola di Martin Mystère, mi diedero l’incarico di creare i personaggi di una miniserie tra l’esoterico ed il fantasy: Magic Patrol. Ebbi qualche difficoltà nel caratterizzare la coppia di belle ragazze protagoniste, e ricordo una lettera in cui un minaccioso (per quanto a lui possibile) Antonio Serra mi elencava le linee guida per non sbagliare. Consigli che mi furono preziosi in carriera. Così la mia prima storia fu “Lo shuttle perduto”, di Vincenzo Beretta.

Vedere il tuo primo lavoro stampato, che emozione ti ha dato?
Roberto Zaghi: Non ricordo bene cosa provai in quel momento. Conoscendomi però, ci sarà stata una buona dose di insoddisfazione.

Con Nathan Never hai affrontato la fantascienza: confrontarti con il complesso mondo del personaggio, ammesso che ne abbia avute, quali difficoltà ti ha creato?
Roberto Zaghi: Si trattava di un episodio di Pasquale Ruju in cui gli elementi fantascientifici erano ben presenti, ma che allo stesso tempo faceva storia a sé, non essendo strettamente collegato alla continuity della serie. Affrontai la fantascienza con l’ingenuità e la schiettezza di un quasi esordiente, fu un albo apprezzato dai lettori, a quanto ne so, e questo mi rincuora.

In genere nelle tue storie per Nathan preferivi misurarti con la classica impaginatura bonelliana, oppure amavi seguire le novità di inquadrature proposte dagli sceneggiatori?
Roberto Zaghi: Mi prendevo una certa libertà nelle composizioni. Del resto era tipico della testata invogliare i disegnatori a soluzioni particolari. In ogni caso la classica griglia bonelliana è uno dei sistemi migliori al mondo per suddividere la tavola, tant’è che la si ritrova spesso anche nei fumetti americani, francesi e perfino giapponesi.

Con Legs immaginiamo ti sia divertito, visto il tono più scanzonato della serie.
Roberto Zaghi: Assolutamente si, mi assegnarono una storia scritta da Michele Medda, che mescolava atmosfera, azione e gag mantenendo un tono divertente e scanzonato. Da parte mia ne ho approfittato per imparare il più possibile non pensando troppo allo stile. Credo che la mia interpretazione di Legs, per come la caratterizzai fisicamente, non entrerà negli annali del fumetto.

Quali sono state le differenze di approccio nel passaggio da Nathan a Legs?
Roberto Zaghi: Non ricordo particolari problemi nel passaggio tra i due personaggi.

Dopo sei passato a disegnare Julia: quali sono stati i motivi di questo cambio di testata?
Roberto Zaghi: Dalla casa editrice mi chiesero di fare alcune prove per il nuovo personaggio di Giancarlo Berardi, dopo il mitico ed affascinante Ken Parker. Di Julia si parlava molto, ma nessuno che io conoscessi aveva visto ancora nulla. Feci le prove e studiai a fondo il personaggio, il tutto andò piuttosto bene e mi fu così affidata la mia prima storia, scritta da Berardi e Lorenzo Calza, anche lui all’esordio. Di lì a breve si instaurò tra di noi un clima di reciproca stima e proficua collaborazione.

Con Berardi, ormai dal 2000, hai intrapreso un lungo sodalizio; sappiamo che l’autore genovese predilige le inquadrature regolari: per te è stato difficile adattarti a questo ritmo più rilassato?
Roberto Zaghi: La mia esperienza fino a quel momento portava in una direzione un pò diversa, ma presi il nuovo incarico come una sfida. In Berardi ho trovato un grandissimo maestro, abile nel far comprendere ai disegnatori le sue scelte narrative. Man mano che procedevo con le tavole entravo in sintonia con il suo processo creativo e soprattutto con il personaggio. Julia è un fumetto che va disegnato con un alto grado di realismo, che non deve essere però eccessivo per lasciare anche spazio all’immaginazione del lettore. In questo senso è il nero, utilizzato spesso in chiave psicologica, a creare la suggestione. Come dicevo prima, la griglia regolare in sé non comporta alcun problema.

Le sceneggiature di Berardi sono sempre studiate nei minimi particolari; ogni frase, ogni inquadratura è sempre studiata con meticolosità: questo ti ha agevolato oppure ha richiesto da parte tua un’attenzione maggiore?
Roberto Zaghi: Ciò che mi stimola è la stretta vicinanza con il linguaggio del cinema, che mi permette di sfruttare una dote innata, quella di muovermi liberamente nello spazio che circonda i personaggi come se avessi una telecamerina in mano e, quasi, li spiassi. In questi anni mi è capitato di dover disegnare le situazioni più diverse ed il fatto che i personaggi siano seguiti così da vicino impone uno studio approfondito degli ambienti, delle problematiche del loro lavoro, ecc. Per fare un esempio: un numero era situato nel cantiere di un grattacielo in costruzione. Chiesi ad una cara amica architetto di spiegarmi cosa succede in certe fasi e lei mi fornì una quantità di informazioni tali da rendere la storia visivamente molto credibile… almeno si spera!

Realizzare il volto di Julia/Audrey Hepburn ti è costato fatica o meno?
Roberto Zaghi: Julia si ispira ad un’autentica icona della bellezza e dell’eleganza femminile, estremamente popolare a tanti anni dall’apice del suo successo di attrice. La difficoltà sta non tanto nel disegnarla somigliante, perché in fondo ciascun disegnatore le conferisce caratteristiche diverse a seconda della propria mano e del propria sensibilità, quanto nel renderla espressiva, nelle sfumature, nel linguaggio del corpo, nell’abbigliamento.

Comunque, secondo noi, la tua Julia è tra le più somiglianti al modello originale voluto da Berardi. Hai altri progetti oltre a Julia?
Roberto Zaghi: Da diversi anni sono attivo anche sul mercato francofono, disegnando le avventure del fotoreporter Thomas Silane per l’editore Bamboo. Anche se non ho creato io graficamente questo personaggio, devo dire che sono ormai a mio agio con la creatura degli sceneggiatori Buendia e Chanoinat. Mi piace alternare nel disegno le tavole in bianco e nero di Julia a quelle francesi, più chiare, che verranno poi colorate. Qualche anno fa, come illustratore, ho lavorato insieme a Lorenzo Calza per il suo primo romanzo noir intitolato “La commedia è finita”, e ho illustrato parecchi racconti scritti da mio zio Franco Patruno. Mi piacerebbe molto continuare in quel settore.

Se dovessi permetterti di disegnare un ennesimo personaggio bonelliano, con quale ti piacerebbe cimentarti?
Roberto Zaghi: Diversi personaggi bonelliani hanno caratteristiche tali da invogliarmi a disegnarli, ma su tutti direi Dylan Dog e Tex Willer.

Quanto tempo impieghi per disegnare una tavola? Hai degli orari? Come si articola una tua giornata tipo fra lavoro, letture, tenerti informato, ozio, vita familiare?
Roberto Zaghi: A seconda della complessità e degli impegni famigliari, una tavola di Julia mi prende da uno a due giorni. Cerco di darmi degli orari fissi, ma è dura e spesso mi ritrovo a disegnare la sera. Amo la concentrazione che ottengo nelle ore serali e anche notturne, ma preferirei mantenermi su fasce orarie pre-draculesche.

Il fumetto della SBE è sempre stato il tuo obiettivo oppure avresti preferito fare il cosiddetto “fumetto d’autore” come Pratt, Battaglia, Toppi, Manara?
Roberto Zaghi: Avendo iniziato nei primi anni ’90 risentivo del fascino di riviste come Corto Maltese o Orient Express. Dal momento che molte delle prestigiose firme che vi comparivano lavorano ora per la Bonelli Editore, penso che questa distinzione possa ritenersi in buona parte superata.

Ti senti un artigiano del fumetto oppure un artista? Disegnare è per te uno stimolo, un divertimento oppure un lavoro?
Roberto Zaghi: Mi considero un artista che lavora tenendo ben presenti le metodologie e le esigenze del committente.

Puoi esporci la tua tecnica di lavoro?
Roberto Zaghi: Ogni pagina nasce e finisce sullo stesso foglio di carta, non faccio schizzi preliminari se non per i nuovi personaggi. Lavoro con un portamine 0,7 2B su cartoncino semiruvido, poi inchiostro con vari pennarelli e pennelli. Uso china molto nera per avere sempre un’idea ravvicinata del risultato di stampa. A volte mi avvalgo anche del digitale per alcuni ritocchi e soprattutto eventuali correzioni.


Passiamo adesso al Ranger che dà nome a questo blog: oggi che sei un affermato disegnatore bonelliano, ti piacerebbe disegnare per Tex, ti è mai stato proposto?
Roberto Zaghi: Non mi è mai stato proposto, ma sarebbe un incarico che affronterei al massimo delle mie possibilità, naturalmente.

Cosa significherebbe per te disegnare storie di una leggenda dei fumetti come Tex?
Roberto Zaghi: Prima di tutto sarebbe un onore e contemporaneamente una grossa responsabilità, perché accostarsi ad una leggenda non è cosa da poco. Tex mette veramente a nudo le capacità di un artista: sei solo tu, i personaggi, i cavalli, la grandiosità degli scenari del West… con una storia da raccontare!

Chi o cosa è Tex secondo te? Cosa ti piace di più nel Ranger e cosa di meno?
Roberto Zaghi: Tex è l’emblema del fumetto western italiano, per longevità ed importanza è uno di quei punti fermi a cui fare sempre riferimento. Il fatto che generazioni di lettori si avvicendino senza mai abbandonarlo significa che la sua forza è intatta ed il ranger porta meravigliosamente i suoi anni. Recentemente ho visto una fotografia scattata in una metropolitana italiana in cui due fratellini leggevano Tex: il maggiore faceva notare al più piccolo le sue vignette preferite. Penso che questo scatto riassuma il concetto meglio delle parole.

Ritieni che Tex sia cambiato negli ultimi anni? Sotto quali aspetti?
Roberto Zaghi: Con il susseguirsi delle personalità degli scrittori e dei disegnatori è naturale che ci siano lievi cambiamenti, ma sono convinto che lo spirito originale di Gian Luigi Bonelli sia tuttora ben presente nella serie.

Per concludere il tema, come vedi il futuro del Ranger?
Roberto Zaghi: Sole brillante ed intramontabile!

Bene, noi avremmo finito. C’è ancora qualcosa che vorresti dire? Qualcosa che non ti è stato chiesto e che avresti assolutamente voluto far sapere ai nostri lettori?
Roberto Zaghi: Si, la mia profonda gratitudine per Sergio Bonelli, a cui devo tutta la mia vita professionale. E non aggiungerei altro.

Caro Roberto, a nome del blog portoghese di Tex ti ringraziamo moltissimo per l’intervista che ci hai così gentilmente concesso.
Roberto Zaghi: Grazie allo staff di Tex Willer blog, spero di non avervi annoiato!

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

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