Intervista esclusiva: MICHELE RUBINI

Intervista condotta da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli per la formulazione delle domande, di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e di Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni e di Bira Dantas per la caricatura.

Ciao carissimo Michele Rubini, e benvenuto sul blog portoghese di Tex! Per cominciare raccontaci un po’ di te, in particolare della tua infanzia e se, in quel periodo, ti cimentavi già con il disegno.
Michele Rubini:
Un caro saluto a voi e grazie per questa intervista. Riguardo alla mia infanzia, non ci penso molto spesso ma credo di poter dire che sia stata piuttosto tranquilla. Il disegno è sempre stato un compagno di giochi presente e esigente: spesso rimanevo in casa con il naso sul foglio mentre i miei amici giocavano a pallone. Disegnare mi piaceva; forse perché mi riusciva bene. Meglio del calcio comunque… Passavo intere giornate a riprodurre i dipinti rinascimentali. Ricordo che una volta, durante le scuole medie, copiai per intero il Giudizio Universale di Michelangelo. Figura per figura. Naturalmente la qualità era quella che era e i tempi di realizzazione furono, in accordo con il soggetto, biblici, ma mi divertivo così tanto.

Prima di entrare in Bonelli quali sono state le tue esperienze lavorative?
Michele Rubini:
Ho avuto pochissime esperienze lavorative prima di Zagor. Sono stato allievo di Stefano Andreucci, che voi conoscete bene, e, durante l’ultimo periodo del mio apprendistato, ho avuto modo di collaborare ad alcune fasi del suo lavoro: in particolare realizzavo i layout delle pagine da disegnare e lui, a volte, usava alcuni di questi come studi per le sue vignette. E’ stata un’esperienza molto importante per me perché ho potuto lavorare sulle sceneggiature di autori come Boselli, Colombo e Mignacco, imparando molto su come si racconta a fumetti attraverso i consigli e, molto spesso, le solenni e meritatissime stroncature da parte di Stefano. Successivamente ho realizzato la mia prima e unica pubblicazione antecedente alla mia esperienza in Bonelli: Luigi Mignacco stava cercando un giovane disegnatore per realizzare un albetto di Robinson Hart per la fanzine Cronaca di Topolinia; io avevo già inviato le pagine di prova per Zagor, lui le vide e mi chiamò per propormi di disegnare quella storia. Naturalmente accettai e ne venne fuori il mio primo lavoro. I disegni erano incerti ma la sceneggiatura e la copertina di Fabrizio Russo erano di altissimo livello.

Cosa è per te il fumetto? Sia come linguaggio che come esperienza professionale.
Michele Rubini:
Domanda difficile perché ha molte risposte. Se parliamo di linguaggio il fumetto è un mezzo estremamente economico e versatile per raccontare una storia. Facendo un parallelo con il cinema, bisogna immaginare che, con uno staff di una o due persone, si possono realizzare una gamma di storie che va dal racconto di tipo teatrale in cui pochi personaggi interagiscono tra di loro in una stanza, come in Carnage di Polanski per intenderci, fino a kolossal con la presenza di decine di personaggi, migliaia di comparse e ambientazioni infinite. Inoltre si possono scegliere gli attori, i veicoli, i costumi che si vogliono e piazzare telecamere e luci senza limiti fisici o di budget. Teoricamente la libertà creativa è infinita. Poi bisogna incontrare i gusti del pubblico, ma questa è una situazione che si trovano ad affrontare tutti coloro che si occupano di mezzi espressivi.
Dal punto di vista della mia esperienza professionale posso dire che il fumetto non è solo un lavoro. Confesso che alcuni giorni penso che sia ciò che mi tiene lontano dalla mia famiglia praticamente tutto il giorno. Altri giorni penso che sia ciò che mi permette di vedere ogni giorno altri luoghi e altre epoche, pur rimanendo fermo nel mio studio. A volte rifletto sul fatto che fare questo lavoro mi costringe a vedere le cose in maniera diversa dalle altre persone: quando parlo con qualcuno spesso studio anche le sue espressioni, l’andamento dei capelli o le pieghe della giacca; è una deformazione irreversibile ormai. Il più delle volte però penso che il fumetto sia ciò che mi permette di andare ogni giorno al lavoro con il sorriso, pensando che per vivere passo tutto il tempo a fare ciò che mi piace.

Da ragazzino – nonostante tu sia un disegnatore ancora giovane – immaginavi di fare il professionista nel mondo del fumetto?
Michele Rubini:
Da ragazzino no. Ho cominciato a pensare che il fumetto potesse diventare un lavoro quando avevo 17-18 anni. Allora frequentavo il liceo scientifico e, come tutti i miei compagni, pensavo a quale facoltà universitaria scegliere. Il mio obiettivo era conciliare un percorso di studi universitario con la mia passione per il disegno, ma l’impresa era quasi impossibile. Fu un programma televisivo che mostrò la presenza di molte scuole di fumetto a Roma, a farmi pensare che quello poteva essere il percorso giusto per me. Poi incontrai Stefano Andreucci che mi insegnò prima a disegnare, poi a raccontare a fumetti e il programmato percorso di studi si trasformò in una solida e mirata formazione che mi ha portato ad essere un disegnatore professionista.

In quali circostanze sei entrato in contatto con la Sergio Bonelli Editore?
Michele Rubini:
Per rispondere a questa domanda devo ancora parlare del mio apprendistato presso Stefano Andreucci: era il 1996 e, durante uno dei nostri primi incontri, lui mi disse che quando sarei stato pronto mi avrebbe aiutato a presentare il mio lavoro presso la Sergio Bonelli Editore. Ora, come facesse a sapere che un giorno sarei stato pronto ancora non l’ho capito, comunque nel 2002, dopo anni di duro lavoro, mi misi in testa che era ora di iniziare a lavorare autonomamente e, dopo un paio di tentativi presso editori minori andati decisamente a vuoto, decidemmo di provare direttamente in Bonelli: sotto la supervisione di Stefano, preparai delle tavole di prova per Zagor e lui chiamò Mauro Boselli per chiedergli se avesse voluto visionare il lavoro di un suo allievo. Mauro le guardò, gli piacquero e quando, dopo un anno, ci fu la possibilità di farmi lavorare, mi mandò le prime dieci tavole de “L’uomo venuto dalla pioggia”. Furono una prova molto dura ma, una volta inviate a Milano, furono approvate e ottenni il resto della sceneggiatura (elaborata da Cuna, Colombo e Cajelli). La mia prima sceneggiatura di Zagor…

Inoltre, ci piacerebbe sapere quali sono state le parole dell’indimenticabile Sergio Bonelli nei tuoi confronti? Quante volte vi siete incontrati?
Michele Rubini:
La verità è che ho incontrato Sergio Bonelli soltanto tre volte e in tutte e tre ci siamo praticamente soltanto stretti la mano. E’ un grande rammarico per me: è difficile pensare di dovere così tanto a un uomo senza avere avuto l’opportunità, vuoi per timidezza, vuoi per le circostanze, di comunicarglielo.

Stefano Andreucci è stato indubbiamente un tuo riferimento importante: quali sono stati i suoi consigli?
Michele Rubini: Come avrete già capito dalle precedenti risposte, Stefano non è stato solo un riferimento importante ma fondamentale. Sono fermamente convinto che senza i suoi insegnamenti non sarei mai riuscito a fare questo lavoro. Lui ha preso un ragazzo di 18 anni che gli ha portato a visionare dei disegni fatti su un diario scolastico (perché questo gli ho portato la prima volta che ci siamo visti), e l’ha trasformato in un professionista. Senza chiedere nulla in cambio. Il lavoro è stato lungo e pesante per entrambi, ve lo assicuro, ma Stefano ha capito quale era il metodo giusto per insegnarmi a disegnare e a raccontare, quali gli autori da farmi studiare e è pure riuscito a sopportarmi nel momento in cui, sconfortato, avevo deciso di abbandonare l’idea di diventare un disegnatore. La verità è che con Stefano ho un debito che non potrà mai essere ripagato.

Oggi il tuo stile si sta sempre più personalizzando; quali sono i tuoi artisti, oltre ad Andreucci, che guardi con più frequenza e a cui cerchi di carpire i trucchi del mestiere?
Michele Rubini:
Sono molti. Mi limiterò a citare quelli che hanno significativamente indirizzato, chi per un verso chi per un altro, il mio modo di disegnare fumetti: Giampiero Casertano, Barry Windsor Smith, Domingo Mandrafina, Jordi Bernet, Hermann Huppen, Giovanni Ticci, Claudio Villa, Frank Quitely, P. Craig Russell, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Hal Foster, Mike Mignola, Majo, Corrado Mastantuono, Stuart Immonen e Adam Hughes.

Il tuo debutto su Zagor risale già ad alcuni anni fa: quali sono state le difficoltà nell’affrontare il personaggio?
Michele Rubini:
Come ho già detto, ho iniziato la mia attività professionale con Zagor e questa fu la prima difficoltà, perché avere poca esperienza lavorativa e cominciare direttamente con un personaggio così amato e con una così lunga vita editoriale alle spalle non è facile. Inoltre, per ogni disegnatore che si cimenta con lo Spirito con la Scure, c’è la necessità di essere il più vicino possibile al lavoro del maestro Ferri e per me è stato complicato.

Cico, con le sue movenze e rotondità, ti ha creato difficoltà? La maschera facciale del personaggio è uno dei suoi punti di forza: anche qui, ti chiediamo, hai avuto difficoltà particolari?
Michele Rubini:
Come per Zagor, ho incontrato qualche difficoltà nel realizzare un Cico il più vicino possibile a quello di Gallieno Ferri. La sintesi grafica del maestro è straordinaria ma difficile da integrare con il modo di disegnare verso il quale pensavo di andare, e i lettori, che sono giustamente molto legati a quel Cico e a quello Zagor, ti fanno notare gli errori.

Dopo il tuo esordio sull’Almanacco, ti è stata affidata una lunga e complessa sceneggiatura di Moreno Burattini. Com’è stato il lavoro di preparazione, e quanto tempo hai impiegato a disegnare l’avventura?
Michele Rubini:
Ho impiegato un po’ più di tre anni per realizzare quella storia. La preparazione è stata simile a quella adottata per realizzare l’Almanacco: ho cercato del materiale fotografico riguardante i cavalli e i carri Conestoga, anche se qualcosa me lo aveva fornito Moreno, e anche molto materiale riguardante le montagne. Successivamente ho realizzato gli studi dei personaggi principali e, una volta approvati, ho iniziato.

In quella storia le montagne hanno svolto un ruolo non accessorio, e la loro presenza è stata importante come quella dei personaggi in carne e ossa. Hai avvertito questa importanza mentre la realizzavi?
Michele Rubini: La montagna è il protagonista silenzioso della storia. Con i suoi ghiacciai, i suoi crepacci e le difficoltà dell’ascesa ha contribuito ad acuire e, in alcuni casi, a determinare i contrasti tra i personaggi, condizionando e indirizzando i loro comportamenti. Per quanto mi riguarda, ho cercato di far avvertire i monti come una presenza costante, forte e inesorabile. Spesso ho disegnato scorci di rocce e paesaggi montuosi anche in vignette in cui non erano richiesti proprio per raggiungere questo scopo, anche se ammetto di non esserci sempre riuscito. Almeno non come volevo io.

Quanta documentazione ti ha fornito Burattini?
Michele Rubini: Moreno mi ha fornito una bella dose di materiale cartaceo: foto d’epoca riguardanti gli albori dell’alpinismo, attrezzature, carri, montagne e molte altre cose. Inoltre mi ha inviato un dvd con il film “Assassinio sull’Eiger” in cui sono presenti molte scene interessanti e utili per la realizzazione della storia.

Dopo questa storia ti sei impegnato con un’altrettanta complessa avventura di Mauro Boselli; anche lì l’ambientazione era realistica e documentata ma la vicenda aveva forti connotazioni fantastiche. Nella vicenda, come nell’altra di Burattini, hai trovato dirupi e altezze vertiginose. Ami questo tipo di scenari?
Michele Rubini: “Lo Scettro di Tin-Hinan” è la storia più lunga che ho realizzato e ha costituito una vera e propria svolta per me: ricordo che verso la fine del secondo albo ho iniziato a intravedere qual è la direzione verso cui voglio andare dal punto di vista stilistico. Insomma, in quella storia ho trovato la mia strada. Non so esattamente come sia avvenuto. Forse ho improvvisamente messo insieme i pezzi di un puzzle che si era formato nel corso degli anni senza che me ne rendessi conto. Sicuramente ha contribuito molto il fatto che Mauro Boselli (un altro a cui devo molto, sia per quanto riguarda il mio approdo in Bonelli, sia per quanto riguarda l’evoluzione della mia carriera…) ha inserito in una volta sola quasi tutto quello che mi piace disegnare, comprese le scene vertiginose che amo particolarmente, anche perché Andreucci me ne ha fatto capire la forza nel corso del mio apprendistato. E’ curioso il fatto che una storia così importante per me non avrei dovuto nemmeno realizzarla io ma Alessandro Piccinelli, che poi, passando a Tex, me la lasciò in eredità.

Ricordiamo la ricerca tridimensionale e le inquadrature ardite e spettacolari, immaginiamo richieste da Boselli. La tua bravura tecnica ha reso il risultato molto naturale, ma in fase di realizzazione com’è andato il lavoro?
Michele Rubini: La ricerca della tridimensionalità ha assunto per me un ruolo essenziale proprio a partire da questa storia. Per quanto riguarda le inquadrature spettacolari, devo dire che derivano sempre da una collaborazione con Mauro: a volte le richieste sono specifiche, altre volte sono lasciato più libero, ma spesso derivano dall’esigenza di conciliare i vari elementi narrativi presenti nella descrizione in sceneggiatura: insomma, se devo raccontare varie scene presenti in una sola vignetta, situazione che mi capita spesso, devo inventarmi qualcosa per rendere bene il tutto senza sembrare didascalico: spesso in questi casi escono le mie cose più interessanti.

Altro aspetto importante sono state la ricerca e la documentazione di Boselli sui Sauri presenti nel racconto, frutto delle ultime scoperte antropologiche. Anche qui il risultato è stato sorprendente: far muovere quei bestioni quanto ti ha divertito e quanto ti ha creato problemi?
Michele Rubini: L’unico problema, se si può definire tale, riguardo i dinosauri, è stato quello di diversificare il Carnotaurus dal Giganotosaurus (i due carnivori grossi). Il resto è stato puro divertimento.

Passiamo adesso al Ranger che dà nome a questo blog: vuoi raccontarci com’è avvenuto il tuo arruolamento nello staff dei disegnatori di Tex?
Michele Rubini: Nella maniera più classica: dopo “Il Mondo Perduto”, Mauro Boselli mi ha comunicato che era interessato, insieme a Mauro Marcheselli, a farmi realizzare delle prove per Tex: io le ho disegnate, con tutto il carico di ansia che mi porto spesso dietro (in questo caso ansia giustificata, visto che si tratta di Tex!) e a loro sono andate bene. Boselli mi aveva avvertito che prima del Ranger avrei realizzato un racconto di Dampyr, così ne ho disegnato la prima parte e successivamente sono passato alla storia breve per il Color Tex.

Come ti senti a misurarti con il Ranger?
Michele Rubini: Se pensassi alla storia del personaggio, al suo significato per il fumetto italiano e per suoi lettori, a quanti e quali grandi disegnatori lo hanno interpretato, mi sentirei intimorito. Molto intimorito. Quindi ho deciso semplicemente di lavorare come faccio sempre: cercando di realizzare ogni vignetta al massimo delle mie capacità e ricercando e studiando per estendere e migliorare queste capacità.

Nel disegnare Tex, che tipo di difficoltà hai incontrato, se ne hai incontrate?
Michele Rubini: La sceneggiatura presentava alcuni passaggi complicati da realizzare, inoltre, durante la prima prova di Tex, ti accorgi di dover fare attenzione al suo codice narrativo che è composto da tante leggi non scritte: il problema è che non sempre si capisce immediatamente quale sia il giusto peso da attribuire ad ognuna di esse, nelle varie situazioni… ma credo che questa sia una mancanza a cui si sopperisce con la pratica. Bisogna porre poi una particolare attenzione al volto del Ranger e dei suoi pards (anche se io ho realizzato solo Tex e Tiger). Insomma, il sentiero è stretto e per percorrerlo bene c’è bisogno di molta attenzione.

Hai dovuto modificare il tuo solito stile, oppure no?
Michele Rubini: Non più di tanto. Più che altro ho cercato di adattarmi al fatto che la mia storia sarebbe stata colorata, quindi ho utilizzato meno mezzi toni e a volte ho lasciato bianchi alcuni spazi che, per mia natura, tenderei a riempire di nero o di particolari. Devo dire però, che alcune vignette vanno esattamente nella direzione in cui vorrei si evolvesse il mio modo di disegnare e questo è un fatto molto positivo per me.

Come definisci graficamente il tuo Tex?
Michele Rubini: Posso dire che l’ho realizzato con uno stile pulito in cui poco è lasciato all’istinto. I segni sono molto studiati e la versione inchiostrata è molto vicina a quella a matita. Ho cercato di rendere duro il volto del Ranger e di dargli una corporatura che incutesse timore ma senza che sembrasse il frutto di lavoro da palestra. Spero di esserci riuscito almeno in parte.

Negli ultimi tempi diversi disegnatori hanno fatto solo una veloce comparsata su Tex e poi sono tornati a lavorare su altri personaggi. Quello su Tex è per te un impegno duraturo, almeno nelle tue intenzioni?
Michele Rubini: In questo momento sono al lavoro su Dampyr. Credo però che un mio eventuale impegno duraturo con il Ranger dipenda anche da come verrà accolto il racconto breve che ho realizzato. Aspettiamo la pubblicazione.

Chi o cosa è Tex secondo te? Cosa ti piace di più nel Ranger e cosa di meno?
Michele Rubini: Tex è la Giustizia. Quella vera, quella di un tempo. Quella che non si rifugia solo nei tanti cavilli della Legge e che spesso si applica con una sana scazzottata o una risolutiva sparatoria. E’ un eroe che sa sempre qual è la cosa giusta da fare. E la fa. Sa leggere il cuore degli uomini e si comporta con equità con ciascuno di essi. A volte pianifica per essere più efficace, ma poi agisce. Senza compromessi e senza scampo per i suoi nemici. Mi piace molto questa linearità del personaggio e anche il fatto che sostanzialmente il lettore legge Tex non per sapere se sconfiggerà i cattivi, ma come lo farà. Per quanto riguarda ciò che mi piace di meno, posso dire che, dal punto di vista professionale, trovo difficile confrontarmi con situazioni che tanti eccellenti disegnatori hanno già affrontato e risolto, riuscendo a portare qualcosa di nuovo alla serie.

Per concludere il tema, come vedi il futuro del Ranger?
Michele Rubini: Se leggo i racconti degli ultimi anni, vedo un personaggio che mantiene la sua identità ma le cui avventure si arricchiscono di nuovi spunti, nuove ambientazioni e nuove soluzioni narrative. Insomma, Tex è sempre Tex, ma cavalca anche verso nuovi territori. Inoltre, lo staff dei disegnatori è straordinario e sale di livello di anno in anno. Non so dire come sarà il futuro del personaggio ma gli elementi perché il Ranger continui il suo cammino per molto tempo mi sembra ci siano tutti.

Quanto tempo impieghi per disegnare una tavola? Hai degli orari? Come si articola una tua giornata tipo fra lavoro, letture, tenerti informato, ozio, vita familiare?
Michele Rubini:
In genere impiego tra i due giorni e i due giorni e mezzo per realizzare una tavola, ma molto dipende da quello che devo disegnare. Sono molto metodico e cerco di rispettare degli orari piuttosto rigidi: dalle 8 e 30 alle 13 e 30, e dalle 15 e 30 alle 20 per 6 giorni la settimana. Tuttavia ci sono sempre le esigenze familiari che, di tanto in tanto, mi spingono a delle modifiche. Non lavoro mai la sera, che è dedicata alla mia famiglia e a rilassarmi con un po’ di cinema, calcio o uscite con gli amici.

Puoi esporci la tua tecnica di lavoro?
Michele Rubini: Realizzo prima le vignette abbozzate in piccolo (in questo modo è più facile mantenere le proporzioni e studiare la prospettiva) e in seguito le proietto sulla tavola originale con un episcopio. Successivamente schiarisco il tutto con una gomma pane e ridisegno bene, risolvendo gli eventuali errori e imprecisioni. Schiarisco nuovamente con la gomma pane e inchiostro utilizzando pennelli, pennarelli, pennini, brush pen e altri strumenti…

Quali sono i tuoi progetti immediati?
Michele Rubini: Come ho già detto, ho appena completato il racconto breve di Tex, scritto da Moreno Burattini, ho realizzato il primo numero di Morgan Lost (la nuova serie Bonelli di Claudio Chiaverotti in uscita in Autunno) e ora, su testi di Mauro Boselli, sto realizzando una storia in due episodi di Dampyr. Poi si vedrà.

Quali fumetti leggi attualmente?
Michele Rubini: In genere leggo quasi tutte le pubblicazioni dalla Bonelli: Tex, Dampyr, Zagor, Dylan, Dragonero, Lukas sono i primi che leggo. Poi ci sono le cose di Mark Millar e Leinil Francis Yu, qualche manga, i lavori di Mathieu Lauffray e Stuart Immonen e quello che è di gran lunga il mio preferito: Hellboy. Da quando è nato mio figlio, per motivi di tempo accumulo molti albi e poi leggo tutto insieme.

Oltre ai fumetti, quale tipo di libri leggi? E quali sono le tue preferenze nel campo del cinema e della musica?
Michele Rubini: Mi piacerebbe fare molte cose ma il mio tempo libero è quello che è… Sono diventato molto pigro con la lettura di romanzi mentre al cinema sono abbastanza onnivoro. Vado sempre a vedere i lavori di Nolan, Eastwood, Tarantino, ma negli ultimi anni mi piacciono anche molti registi italiani (Virzì, Sorrentino, Garrone). Ultimamente sono molto affascinato dalle serie tv: Il Trono di Spade, House of Cards, Vikings, Gomorra, Homeland, True Detective sono alcune di quelle che amo di più. Con la musica non ho un rapporto straordinario. Amo le colonne sonore di Morricone, Newton Howard, Shore, Zimmer, Djawadi e anche gran parte del lavoro di Radiohead, Greenday e Queen. Mi piacciono De Andrè, Dalla, De Gregori ma anche Elisa e Gianna Nannini. Mia moglie mi trascina spesso ai concerti di Vasco Rossi. E mi diverto molto.

Bene, noi avremmo finito. C’è ancora qualcosa che vorresti dire? Qualcosa che non ti è stato chiesto e che avresti assolutamente voluto far sapere ai nostri lettori?
Michele Rubini: Credo di essermi dilungato fin troppo. Un caro saluto a voi e ai vostri lettori, sperando che apprezziate il mio Tex. A presto.

Caro Michele, ti ringraziamo moltissimo per l’intervista che ci hai così gentilmente concesso.

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

6 Comentários

  1. Michele è uno dei disegnatori che mi piacciono di più. Talentuoso e modesto, mai banale e molto raffinato sia nelle inquadrature che nei personaggi. Sarà sicuramente uno dei più bravi disegnatori del panorama italiano.

  2. Segnalo che tra le mie domande avevo dimenticato di chiedere a Rubini della sua terza storia, “Lo Scettro di Tin-Hinan“, passando direttamente alla quarta prova zagoriana, quella ispirata al “Mondo Perduto“. Michele, però, con molta abilità ha risposto in maniera efficace facendo passare in secondo piano la mia dimenticanza.

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