Intervista esclusiva: MICHELE MEDDA

Intervista condotta da José Carlos Francisco, con la collaborazione di Giampiero Belardinelli e Roberto Pagani per la formulazione delle domande, di Júlio Schneider (traduttore di Tex per il Brasile) e di Gianni Petino per le traduzioni e le revisioni e di Bira Dantas per la caricatura.

Michele Medda por Bira DantasCiao Michele, e benvenuto sul blog portoghese di Tex! Vorremmo che facessi una piccola autopresentazione di te stesso e del cammino percorso nella tua carriera, per quelli che ancora non ti conoscono bene.
Michele Medda: Nato a Cagliari nel 1962, studi classici, laurea in Lettere Moderne. Ero ancora all’università quando con Antonio Serra e Bepi Vigna mandammo dei soggetti per Martin Mystère alla Bonelli. Quei soggetti furono approvati, e così abbiamo cominciato. Nel 1989 abbiamo presentato il progetto di Nathan Never, che è uscito nel 1991. Nel 1995 è arrivata la serie dedicata a Legs Weaver. Nel frattempo ho scritto anche per Nick Raider e Tex. Dal 1996 ho cominciato a dividermi essenzialmente tra Nathan Never e Dylan Dog, che hanno costituito il 99% del mio lavoro fino al 2006, cioè fino all’approvazione della miniserie Caravan.

Che posto hanno avuto i fumetti, soprattutto i Bonelli, nella tua infanzia?
Michele Medda: Negli anni sessanta si stampavano centinaia di testate a fumetti in Italia. Noi li chiamavamo “giornalini”. I “giornalini” erano uno svago poco costoso, ed entravano nelle case di tutti. Ma erano reputati “roba da bambini”, letture di cui vergognarsi un po’, e crescendo, diventando adulti, li si abbandonava. Io non li ho abbandonati.

Na vinheta de Legs Weaver 73 - José, Tony e Miguel, em italiano Giuseppe (Bepi) Vigna, Antonio Serra e Michele MeddaCome sei arrivato a diventare scrittore di fumetti? E’ stata vocazione o il caso? E quali sono le tue influenze?
Michele Medda: Dato che di fumetti ne leggevo tanti, a un certo punto è stato abbastanza naturale desiderare di farli. Ho cominciato a pensarci seriamente da adolescente. Scrivevo e disegnavo. Mi sarebbe piaciuto molto fare strips umoristiche. Adoravo Mafalda, BC, Il Mago Wiz… A un certo punto, però, ho capito che come scrittore me la cavavo meglio che come disegnatore, così ho lasciato perdere definitivamente il disegno. Come sceneggiatore, i fumetti che mi hanno dato l’imprinting sono esclusivamente fumetti europei, direi quelli del Corriere dei Piccoli e i bonelliani. I fumetti americani li leggevo e mi piacevano, ma non ho mai desiderato scrivere storie di supereroi. I manga, poi, in generale non mi hanno mai interessato, nemmeno da lettore.

La tua peculiarità è quella di narratore di gialli psicologici, spesso malinconici e disperati. Quali sono i narratori – romanzieri, sceneggiatori, registi – che più ammiri e a cui devi molto per la tua crescita professionale?
Michele Medda: Chi mi conosce sa che considero un maestro Evan Hunter alias Ed McBain, il romanziere autore della saga dell’87° distretto. Quanto ai registi, penso che per me siano stati “formativi” certi registi degli anni settanta come Aldrich, Pollack, Lumet. I loro film mi hanno colpito molto da ragazzo, e ancora oggi li rivedo spesso. Il cinema fantastico mi piace, ma credo che alla base della mia formazione di narratore ci siano storie essenzialmente realistiche.

José Carlos Francisco e Antonio SerraCome e quando hai conosciuto i tuoi colleghi Serra e Vigna? Quando e come hai cominciato a pubblicare i tuoi primi lavori?
Michele Medda: E’ una storia un po’ lunga… Devo premettere che Serra, Vigna ed io vivevamo tutti in Sardegna (e Vigna ci vive ancora). Trovandoci su un’isola, per noi non c’era modo di avere contatti con case editrici – che erano tutte nella penisola – se non prendendo il traghetto o l’aereo. Erano viaggi costosi per noi, che eravamo studenti. Nel 1982 un’associazione culturale chiamata “Il Circolo” portò in Sardegna la mostra “Dedicated to Corto Maltese”. Ci conoscemmo in quell’occasione e costituimmo, all’interno del “Circolo”, un gruppo di aspiranti autori. L’obiettivo era creare una specie di collettivo, se non proprio uno studio, per proporre qualche progetto in ambito regionale e successivamente presentarci alle case editrici nella penisola. In realtà poco tempo dopo “Il Circolo” chiuse, e noi rimanemmo senza una sede. Però continuammo a vederci, e nel frattempo avevamo allacciato alcuni contatti, tra cui quello con Alfredo Castelli. Il resto, più o meno, è storia nota. Tramite Alfredo proponemmo dei soggetti alla Sergio Bonelli Editore (che allora si chiamava Daim Press), e questi soggetti furono approvati. Tengo a precisare che dal gruppo del “Circolo” sono usciti anche altri due autori di fumetti, Otto Gabos (Mario Rivelli) e Vanna Vinci. Eravamo una dozzina. Gli altri, come succede nella vita, hanno preso strade diverse.

Nathan Never nº 164 - OlivaresNella seconda metà degli anni ’80, assieme agli amici Serra e Vigna, fai il tuo ingresso alla Sergio Bonelli Editore, proponendo dapprima soggetti per Martin Mystère, Dylan Dog e Zona X, e poi dando vita al progetto Nathan Never. Che bilancio fai di quel periodo giovanile? Com’era strutturato il vostro lavoro, partecipavate tutti e tre contemporaneamente alle sedute di sceneggiatura oppure, dopo aver steso un soggetto dettagliato, ognuno di voi sceneggiava separatamente una parte della storia?
Michele Medda: Negli anni Ottanta Serra e io eravamo poco più che ventenni, e Vigna era di poco più grande. Eravamo giovani ed entusiasti. Quando Castelli accettò il nostro primo soggetto ci sembrò di toccare il cielo con un dito. Quanto ai nostri primi lavori, sinceramente non so spiegarmi come diavolo potevamo scrivere in quel modo. Da quello che ricordo, le prime due sceneggiature sono state veramente “collettive”. Uno di noi, a turno, sedeva alla macchina da scrivere e cercava di rendere in forma comprensibile quello che dicevano gli altri due. Per le sceneggiature successive abbiamo fatto una scaletta molto precisa del soggetto e l’abbiamo divisa in tre sezioni. In pratica, ognuno di noi in questo modo sceneggiava un terzo della storia.

José Carlos Francisco e Alfredo CastelliAlfredo Castelli, tra i tanti meriti, ha anche quello di aver creduto in voi tre. Com’è stato il primo incontro con lo sceneggiatore milanese? Avete proposto voi tre il primo soggetto per Martin Mystère, oppure è stato Castelli a proporvi di collaborare al suo personaggio?
Michele Medda: Nei primi anni Ottanta la Rai (la tivù di stato italiana) faceva una trasmissione per ragazzi negli studi di Cagliari, la città dove vivevamo tutti e tre. Castelli e Silver (l’autore di Lupo Alberto) vennero a Cagliari per partecipare a quel programma come ospiti e noi del “Circolo” li conoscemmo in quella occasione. Alfredo ci disse che era a caccia di nuovi spunti per Martin Mystère, e qualche tempo dopo noi gli mandammo un soggetto basato su una leggenda sarda. E’ cominciata così.

Puoi raccontarci qualche aneddoto sulla nascita di Nathan Never? Avresti preferito magari una collocazione temporale diversa?
Michele Medda: Non ricordo niente di particolare, se non che discutemmo per la prima volta l’idea durante un lungo viaggio in auto. La prima versione del progetto non era così fantascientifica, era più una fantascienza “alla Robocop” o “alla Mad Max” (parlo del primo del ciclo, quando non era ancora un post-atomico). Pochi anni avanti nel futuro, insomma. Fu Sergio Bonelli a esortarci ad accentuare gli elementi fantascientifici.

Legs WeaverTi piace il personaggio di Legs Weaver e ti sei divertito a scriverne le storie? Per puro gioco intellettuale, cosa avresti cambiato nella serie? Pensi che siano state sfruttate a pieno le potenzialità narrative di Legs?
Michele Medda: Se tornassi indietro non cambierei niente. Scrivere Legs per me è stato spassoso, ma credo che per Sergio Bonelli non sia stato spassoso leggerlo. Effettivamente la serie era troppo diversa dalle serie bonelliane, e i lettori rimasero disorientati. Le serie popolari creano un pubblico affezionato, ma affezionato solo a un determinato tipo di racconto. E’ come il cliente del ristorante che pretende ogni mese, testardamente, lo stesso piatto. Allora, se vuoi aggiungere un nuovo ingrediente, dovresti pesarlo col bilancino, e questo è un calcolo che un autore non può sempre fare. Anzi, non è nemmeno giusto pretendere che lo faccia. Perché noi facciamo narrativa, non ristorazione.

Nick Raider de Michele MeddaConsiderata la tua passione per il giallo – facciamo presente ai nostri utenti della tua tesi di laurea sul giallo italiano – è stato forse consequenziale la tua collaborazione a Nick Raider, il personaggio ideato dallo sceneggiatore Claudio Nizzi. Com’è stato il tuo approccio alla serie poliziesca?
Michele Medda: Molto semplice. Portai dei soggetti a Nizzi, lui li trovò buoni e mi invitò a collaborare alla serie. Erano le prime cose che scrivevo da solo, senza Serra & Vigna. La mia collaborazione a Nick Raider è stata breve, ma ho imparato molto in quegli anni.

Dopo aver scritto alcuni pregevoli “western metropolitani” ambientati ai giorni nostri per la testata Nick Raider (ad esempio gli episodi “Un ranger a New York”, “Linea di confine”, “Legami di sangue”), ti viene offerta la possibilità di sceneggiare alcuni episodi di Tex. Come avvenne l’ingresso nello staff texiano e cosa ricordi del tuo fugace apporto alla serie regina della SBE? Le tue due storie, entrambe molto particolari come tematiche e personaggi coinvolti, hanno lasciato il segno e sono ancora ricordate a distanza di 15 anni da molti lettori.
Michele Medda: Fui chiamato a scrivere Tex come “rinforzo” in un momento in cui Claudio Nizzi aveva rallentato la produzione, proprio perché avevo utilizzato tematiche western su Nick Raider. Ne fui molto lusingato.

Tex de Michele Medda e Decio CanzioQuali sono state le prime preoccupazioni che il personaggio di Tex ti ha suscitato? E come ti sei preparato per scrivere le storie del Ranger? Lo conoscevi già profondamente?
Michele Medda: Tex lo conoscevo benissimo, l’ho letto per più di vent’anni, e credo che quelle due storie di Tex siano state il lavoro più tranquillo e sereno di tutta la mia carriera.

Dunque sei stato un lettore di Tex in gioventù. Leggevi altri fumetti, italiani o meno (supereroi, manga, francesi, ecc.)? Più in generale, sei un appassionato del genere western?
Michele Medda: Non sono proprio un fanatico del western, ma mi piace. Quando ero bambino, negli anni sessanta, il western era l’Avventura con la A maiuscola, sia nei fumetti che al cinema. A parte i fumetti western bonelliani (Storia del West e Ken Parker, che rileggo periodicamente), mi piaceva da matti Comanche di Greg & Hermann.

Elenco de Claudio Nizzi das histórias em produçãoQualche tempo fa sul tuo blog hai scritto che, all’epoca del tuo apporto a Tex, rimanesti molto sorpreso dall’apprendere il metodo di lavoro di Claudio Nizzi, “costretto” a sceneggiare anche 14 storie contemporaneamente. E’ stata questa visione del fumetto popolare come “catena di montaggio” a farti desistere dal presentare altri soggetti per Tex?
Michele Medda: Una volta ho letto in un sito che ero stato letteralmente cacciato da Tex perché le mie storie erano state giudicate poco “texiane”, e che addirittura c’era una mia storia che mi avevano fatto interrompere e che giaceva incompiuta in archivio. Puro delirio. L’unico motivo per cui non ho scritto più Tex è che ero troppo impegnato con Nathan Never. E per me che ero lento era un problema scrivere altre 32 tavole al mese per disegnatori veloci come Lettèri! Nathan Never assorbiva tutte le mie energie. Tutto qui, non c’è nessun mistero.

Come ti definiresti in qualità di autore di Tex? Secondo te hai delle attinenze con qualche altro suo autore?
Michele Medda: Non mi sono mai posto il problema, avendo scritto solo due storie!

Tex de Michele MeddaNel corso degli ultimi anni i lettori di Tex hanno visto l’esordio di alcuni nuovi sceneggiatori: accanto ai classici Nizzi e Boselli, sono arrivati autori come Faraci, Manfredi, Segura, Ruju. Compatibilmente con i tuoi impegni, ti piacerebbe scriverne qualche altro episodio o consideri il personaggio creato da G. L. Bonelli solo come una fase passata della tua carriera? C’è la sensazione che tu avessi altre cose da dire, un “altro” west da proporre.
Michele Medda: Non mi sono accostato a Tex con propositi particolari. Ero contento di scriverlo, per me era un onore, tutto qui. A dire il vero, ogni anno mi dico: «Beh, potrei proporre un soggetto per Tex», ma poi ci sono sempre lavori più urgenti… ma chissà che il 2010 non sia l’anno giusto.

DyD 199 FreghieriLa tua collaborazione con Dylan Dog – il personaggio creato da Tiziano Sclavi – continua tuttora. La complessità narrativa dell’Indagatore dell’Incubo è frutto della genialità di Tiziano Sclavi, tuttavia le tue storie hanno una calligrafia riconoscibile, molto apprezzata dai lettori. Il tuo Dylan non tradisce quello sclaviano ma non si rifugia in uno scontato buonismo. Ti riconosci in questa considerazione?
Michele Medda: Premesso che io non mi preoccupo di definirmi (“appena definito mi sento finito”, diceva Silver per bocca di Lupo Alberto), sì, tutto sommato mi riconosco in questa considerazione. Quanto all’apprezzamento dei lettori, a me risulta che le mie storie spaccano in due il pubblico degli appassionati: o sono molto apprezzate o sono proprio detestate. La cosa non turba i miei sonni, comunque.

CaravanDa qualche mese è uscita la miniserie Caravan, pubblicata dalla Bonelli, di cui sei l’ideatore e lo sceneggiatore. La nostra impressione (nel momento in cui scriviamo non è ancora arrivata alla conclusione) è che il mistero della “nuvole nere” sia solo un pretesto – secondo noi, per fortuna – per poter sviscerare i caratteri dei vari personaggi. Alcuni commentatori su internet affermano che i personaggi siano troppo italiani e poco americani. Come rispondi a queste osservazioni?
Michele Medda: Ho rilasciato almeno cinque o sei lunghe interviste in cui presento Caravan, per non parlare degli interventi sul blog: quelli dedicati specificamente alla serie sono una quarantina. Perciò chi legge Caravan ha tutte le delucidazioni possibili, chi non ne ha letto neanche una riga ha comunque la possibilità di farsi un’idea precisa. Ma, a parte questo, non rispondo mai a osservazioni che arrivano dai forum, cioè a domande che non mi vengono rivolte direttamente. Sarebbe come replicare a una scritta fatta su un muro con lo spray.

F. Valdambrini - Caravan nº 3Com’è nato e come si è poi sviluppato il progetto di Caravan? Con Caravan hai spiazzato due volte il pubblico, dapprima presentando una serie assai anticonvenzionale all’interno del panorama bonelliano (personaggi “comuni”, storie a volte minimaliste, nessun utilizzo di armi, ecc.) e in seguito, nel momento in cui si sono diffuse le prime notizie in rete, sconfessando coloro che sostenevano la presenza di palesi riferimenti alla serie TV Jericho. Ti sei reso conto fin da subito che la tua miniserie poteva rappresentare una svolta per la Casa Editrice? Fatta salva l’idea iniziale, Caravan si è modificato via via che procedevi nella stesura degli episodi?
Michele Medda: La genesi di Caravan l’ho raccontata più volte, è un’idea che avevo messo in un cassetto e non pensavo di tirarla fuori. Mi è tornata in mente dopo tanto tempo, tutto qui. Caravan rappresenta una novità nel panorama della casa editrice, ma non una svolta: nessuna delle prossime miniserie avrà caratteristiche simili. Quanto all’evoluzione del progetto, è una serie così complessa che al momento di scrivere il concept era impossibile prevedere come si sarebbe sviluppata. Certo, lo “scheletro” della vicenda è rimasto quello originario: la premessa, gli avvenimenti che riguardano i personaggi principali e il finale non sono mai cambiati dalla prima stesura.

R. De Angelis - Caravan nº 1E’ stata una tua precisa scelta, presa di comune accordo con la redazione, quella di assegnare molti episodi di Caravan ad autori all’esordio per la SBE? La volontà di uniformare e rendere omogeneo al massimo il tratto dei diversi disegnatori non ha forse penalizzato un poco la parte grafica della serie?
Michele Medda: Non c’è stata nessuna volontà di “uniformare” o “rendere omogeneo” il tratto dei disegnatori. A nessuno è stato chiesto di cambiare il proprio segno per adattarlo alla serie. Semplicemente, sono stati selezionati disegnatori con uno stile “realistico” perché la serie è sostanzialmente realistica. E ovviamente la selezione dipendeva dalla situazione del momento, cioè da quali disegnatori erano disponibili quando io ho iniziato a scrivere la serie.

Poco tempo fa, non senza qualche rimpianto, hai confessato di aver messo la parola “fine” a Caravan. Poiché hai da subito negato la possibilità di un seguito, cosa c’è oltre al tuo Nathan Never nel futuro prossimo di Michele Medda? Scriverai ancora per Dylan Dog e comincerai a pensare ad un’altra di quelle miniserie che al giorno d’oggi paiono l’unica ancora di salvezza per il fumetto popolare nel tuo Paese?
Michele Medda: Al momento l’unica cosa certa è una storia per Nathan Never, che dovrebbe uscire abbastanza presto, forse già a fine anno. Per tutto il resto si vedrà.

Stefano Raffaele - Caravan nº 2Quanto tempo impieghi per scrivere una storia? Hai degli orari? Come si articola una tua giornata tipo fra lavoro, letture, tenerti informato, ricerca di nuovi argomenti, vita familiare?
Michele Medda: Se mi dedico completamente a una sola sceneggiatura, per scriverla impiego poco più di un mese. Il tempo dedicato alle ricerche non è quantificabile. Nel caso di Caravan è stato notevole. Ho orari abbastanza regolari, comunque. Difficilmente scrivo di notte.

Parlaci delle tue incursioni fuori dall’ambito della Sergio Bonelli Editore.
Michele Medda: Non ho fatto molto al di fuori della Sergio Bonelli Editore, e nessuna di quelle esperienze mi ha dato grandi soddisfazioni, a parte collaborare con autori come Stefano Casini e Francesco Artibani. Considero quelle esperienze come un capitolo chiuso, e preferisco non pensarci più.

Stefano Raffaele - Caravan nº 2Dopo aver trascorso 20 anni a scrivere fumetti, è rimasto qualcosa dell’entusiasmo giovanile o ora il tuo è “solo” un lavoro?
Michele Medda: Scrivendo Caravan ho ritrovato un po’ di entusiasmo. Ma credo che l’età d’oro del fumetto in Italia sia finita. Il fumetto è diventato un medium di nicchia, che interessa un numero di persone sempre minore. E anche la qualità del riscontro al nostro lavoro è molto più bassa che in passato. Se è molto difficile leggere buoni fumetti, è quasi impossibile leggere buoni articoli di critica e di storia del fumetto. A parte qualche accademico illuminato come Giulio Giorello, qualche giornalista competente come Luca Raffaelli, l’attenzione dei media per il fumetto è sporadica e superficiale. Il mondo del fumetto vive chiuso in se stesso come dentro una bolla, è un universo autoreferenziale. Ma forse è lo specchio della situazione generale, che vede scarso interesse per la creatività, in qualsiasi forma. Qui in Italia creare – creare qualsiasi cosa: musica, letteratura, fumetti, film – è diventato molto difficile, per non dire quasi impossibile.

Michele MeddaTi piacerebbe scrivere un racconto o un romanzo in prosa? Abbiamo saputo che hai avuto alcuni approcci con il mondo della televisione: ne è nato qualcosa di concreto?
Michele Medda: Ho scritto alcuni racconti, che sono leggibili sul mio sito. Quanto a un romanzo, chissà… In merito a televisione e cinema, dopo un paio di occasioni sfumate e numerosi viaggi a Roma ho deciso di sedermi sulla riva del fiume e aspettare. Se arriverà l’occasione, bene. Se no, pazienza.

Caro Michele Medda, a nome del blog portoghese di Tex ti ringraziamo moltissimo per l’intervista che ci hai così gentilmente concesso.

(Cliccare sulle immagini per vederle a grandezza naturale)

2 Comentários

  1. Ho riletto qualche mese fa le due storie di Medda, riproposte da “Repubblica” sono rimasto molto colpito favorevolmente 😛 soprattutto con “Bande Rivali” perfetta storia western con tanti personaggi ben caratterizzati, che anticipano il lavoro di Boselli.
    Devo dire che alla prima uscita, rimasi perplesso su alcune situazioni, 😳 😆 tuttavia oggi le ho considerate normali ed in linea con un’immagine del west più vera. I luoghi e le atmosfere sono perfette e molto realistiche, senza stravolgere i personaggio.
    Mi auguro vivamente di poter leggere altre storie di Medda in futuro, anche un “Texone” assegnato ad un disegnatore dalla linea sporca (Ortiz) sarebbe il massimo.

  2. Le ho rilette anch’io e le ho trovate molto positive: per la precisione ORRORE molto bella, BANDE RIVALI discreta.
    Complimenti, e speriamo di vederlo ancora…

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